Lunedì, 06 Giugno 2016
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LUX-Lung 7: pregi e difetti di un confronto "testa a testa"

A cura di Massimo Di Maio

Qualche mese dopo la presentazione dei risultati a Singapore, Lancet Oncology pubblica i risultati dello studio LUX-Lung 7, testa a testa tra gefitinib ed afatinib nei pazienti con NSCLC avanzato con mutazione di EGFR. La discussione rimane aperta…

Park, Keunchil et al. Afatinib versus gefitinib as first-line treatment of patients with EGFR mutation-positive non-small-cell lung cancer (LUX-Lung 7): a phase 2B, open-label, randomised controlled trial. The Lancet Oncology , Volume 0 , Issue 0 , DOI: http://dx.doi.org/10.1016/S1470-2045(16)30033-X

Una delle considerazioni più frequenti a proposito della scelta dell’inibitore di tirosino-chinasi di EGFR per il trattamento di prima linea dei pazienti con NSCLC avanzato, caratterizzati dalla presenza di mutazione attivante dell’EGFR, è stata, sin dal momento in cui la disponibilità di gefitinib, erlotinib ed afatinib ha reso possibile la scelta tra più opzioni farmacologiche, l’assenza di confronti diretti tra i 3 farmaci suddetti.

Lo studio randomizzato LUX-Lung 7 ha quindi prodotto un confronto testa a testa tra gefitinib ed afatinib, in pazienti con NSCLC in stadio IIIB o IV, con una mutazione “comune” dell’EGFR (vale a dire delezione dell’esone 19 oppure L858R dell’esone 21), come trattamento di prima linea.

Lo studio randomizzato, di fase IIB, in aperto, era multicentrico e prevedeva la randomizzazione, in rapporto 1:1, a ricevere:

  • Afatinib alla dose di 40 mg al giorno;
  • Gefitinib alla dose di 250 mg al giorno.

La randomizzazione era stratificata per il tipo di mutazione comune e per l’eventuale presenza di metastasi cerebrali.

In entrambi i bracci dello studio, il trattamento, in assenza di tossicità inaccettabile, era proseguito fino a progressione di malattia, ed eventualmente anche oltre la progressione di malattia, a discrezione dello sperimentatore, nel caso che quest’ultimo ritenesse utile la prosecuzione del trattamento “beyond progression”.

Lo studio prevedeva 3 co-primary endpoint:

  • La sopravvivenza libera da progressione (progression-free survival, PFS);
  • Il tempo al fallimento del trattamento (time to treatment failure, TTF);
  • La sopravvivenza globale (overall survival, OS).

 

Complessivamente, tra il dicembre 2011 e l’agosto 2013, sono stati randomizzati 319 pazienti, 160 assegnati ad afatinib e 159 a gefitinib.

Dopo un follow-up mediano pari a 27.3 mesi, la PFS mediana è risultata pari a 11.0 mesi con afatinib e 10.9 mesi con gefitinib (Hazard Ratio 0.73, intervallo di confidenza al 95% 0.57 – 0.95, p=0.017).

Il TTF è risultato significativamente più lungo con afatinib (mediana pari a 13.7 mesi con afatinib, rispetto a 11.5 mesi con gefitinib, Hazard Ratio 0.73, intervallo di confidenza al 95% 0.58 – 0.92, p=0.0073).

Al momento dell’analisi per la pubblicazione, i dati di sopravvivenza globale non erano ancora maturi.

Per quanto riguarda la tollerabilità del trattamento, gli eventi avversi di grado 3-4 più comuni sono stati la diarrea (riportata nel 13% dei pazienti trattati con afatinib e nell’1% con gefitinib), la tossicità cutanea (riportata nel 9% dei pazienti trattati con afatinib rispetto al 3% di quelli trattati con gefitinib), e il rialzo delle transaminasi (riportato nel 9% dei pazienti trattati con gefitinib e in nessun caso trattato con afatinib). Eventi avversi seri attribuiti al trattamento si sono verificati nell’11% dei pazienti trattati con afatinib e nel 4% dei pazienti trattati con gefitinib.

Uno studio di confronto diretto in un setting nel quale esistono più opzioni tra loro alternative è sicuramente da giudicare utile, in linea di principio, per la produzione di conoscenze più solide rispetto al confronto indiretto tra studi diversi.

La presentazione dei dati a Singapore, alla fine del 2015, aveva peraltro sollevato discussione su tutti gli endpoint dello studio (che, come riconosciuto dagli autori nella discussione, non prevedeva una correzione formale per i confronti multipli, pur essendo pianificato il confronto per 3 diversi endpoint tutti considerati co-primary):

  • Per quanto riguarda la PFS, pur in presenza di un vantaggio statisticamente significativo a favore di afatinib, i 2 bracci presentano una mediana praticamente identica, e la maggior differenza si nota nella parte “destra” delle curve, in cui la percentuale di pazienti liberi da progressione a un tempo “più tardivo” rispetto alla mediana è maggiore con afatinib rispetto a gefitinib.
  • Per quanto riguarda il tempo al fallimento del trattamento, il risultato in questo endpoint è “più nettamente” favorevole ad afatinib rispetto al confronto in termini di PFS. Tale endpoint è indebolito dal fatto che lo studio era in aperto, e non in cieco, e quindi la decisione di proseguire o meno il trattamento oltre la definizione formale di progressione era presa soggettivamente dallo sperimentatore, senza alcun mascheramento del trattamento eseguito dal paziente.
  • Per quanto riguarda infine la sopravvivenza globale, la pubblicazione di Lancet Oncology non riporta i dati definitivi, in quanto ancora immaturi, nonostante tale endpoint fosse stato giudicato “cruciale” al pari di PFS e time to treatment failure, elencando anche la sopravvivenza globale tra i 3 coprimary endpoints dello studio.

Nell’edizione 2015, le linee guida AIOM, redatte prima della pubblicazione dello studio Lux-Lung 7, non esprimono preferenza esplicita per un inibitore di EGFR rispetto agli altri, come trattamento di prima linea dei pazienti con NSCLC avanzato e mutazione di EGFR:

“Nei pazienti affetti da NSCLC, con presenza di mutazioni attivanti l’EGFR, candidati a trattamento di prima linea, una terapia con inibitore di tirosino-chinasi di EGFR (gefitinib o erlotinib o afatinib) deve essere proposta. Ad oggi, non essendo disponibili confronti diretti tra i 3 inibitori disponibili, non ci sono dati che dimostrino la superiorità di un farmaco rispetto agli altri. Il quesito GRADE, specificamente aggiornato per l’edizione 2015 di queste linee guida, si riferisce pertanto all’impiego di un inibitore di tirosino-chinasi (gefitinib o erlotinib o afatinib) rispetto alla chemioterapia con platino come trattamento di prima linea”

Nei prossimi mesi, la pubblicazione di Lancet Oncology rientrerà nell’evidenza a disposizione del panel AIOM per decidere se la suddetta raccomandazione vada modificata o lasciata uguale.