Immunoterapia
Giovedì, 27 Ottobre 2022

AAA (Anticorpi Anti Atezolizumab) cercasi.

A cura di Giuseppe Aprile

Secondo una ricerca coreana, trovare un alto titolo di anticorpi anti-atezolizumab dopo un mese dalla prima somministrazione del PD-L1 inibitore permetterebbe di identificare precocemente una quota di pazienti con HCC avanzato che non risponde al trattamento di prima linea. 

Kim C, Yang H, Kim I, Kang B, Kim H, Kim H, Lee WS, Jung S, Lim HY, Cheon J, Chon HJ. Association of High Levels of Antidrug Antibodies Against Atezolizumab With Clinical Outcomes and T-Cell Responses in Patients With Hepatocellular Carcinoma. JAMA Oncol. 2022 Oct 20

Il monitoraggio plasmatico della risposta immunitaria è importante, anche come fattore predittivo. Infatti è noto da studi traslazionali che la genesi di anticorpi diretti contro l'immunoterapico ne altera la concentrazione e la clearence e ne limita l'effetto farmacologico.

Lo studio randomizzato IMbrave 150 ha stabilito il nuovo standard di trattamento di prima linea per pazienti con HCC avanzato: la terapia di combinazione con atezolizumab e bevacizumab si è infatti dimostrata statisticamente superiore al braccio standard (sorafenib) in termini di risposta (27% vs 12%), PFS mediana (6.8 mesi vs 4.3 mesi, stratified HR 0.65) e di sopravvivenza overall (mOS 19.2 mesi vs 13.4 mesi, stratified HR 0.66). Nonostante questo è documentato che il 25% dei pazienti ha una veloce progressione di malattia ed una insoddisfacente beneficio dal trattamento di combinazione.

Nella parte traslazionale dello studio è anche stato osservato che il 30% dei pazienti sviluppano anticorpi anti atezolizumab (AAA), ma l'informazione su questo fenomeno nella pratica clinica non è nota.

La ricerca coreana studia la relazione tra lo sviluppo rapido di AAA ad alto titolo (>1000 ng/mL all'avvio del ciclo 2) e l'outcome clinico, valutando anche quale sia l'effetto del fenomeno sulla risposta immunitaria del paziente. Per lo studio sono state utilizzate una coorte prospettica iniziale (discovery cohort) di 61 pazienti arruolati in un unico centro ad alto volume e successivamente una seconda coorte di validazione (validation cohort) costituita da 113 pazienti arruolati in altri 4 centri oncologici.

La concentrazione sierica di atezolizumab (ciclo 2, giorno 1) e i livelli degli AAA (baseline e ciclo 2, giorno 1) sono stati analizzati con test enzimatici di immunoassorbimento (KBI1027 e KBI2027), mentre l'associazione tra il livello di AAA e la competenza dell'immunità T è stata stabilita con citometria a flusso multiplex.

La produzione di AAA ad alto titolo si è registrata al ciclo 2 nel 17.5% dei pazienti trattati; in pazienti che ottenevano PD come miglior risposta la probabilità di sviluppare il fenomeno era marcatamente superiore rispetto a chi rispondeva o aveva controllo di malattia (p=0.008 nella discovery cohort; p=0.01 nella validation cohort).

In entrambe le coorti lo sviluppo precoce di AAA era correlato ad un peggior outcome del trattamento (HR per OS nella discovery cohort 3.30; 95%CI 1.43-7.64; P = .003; HR per OS nella coorte di validazione 5.81, 95%CI 2.70-12.50; P = .001) e ad una ridotta chance di risposta (34%vs 11% nella dicovery cohort; 29% vs. 7% nella validation cohort).

Inoltre, nell'analisi multivariata condotta nelle due coorti dello studio l'elevato livello di AAA rimaneva significativamente associato a peggiore PFS e OS indipendenetemente dall'età, il genere, ECOG PS,Child-Pugh score, valore di AFP, presenza di infiltrazione vascolare macroscopica o diffusione di malattia extraepatica e dal rapporto neutrofili/linfociti.

Sebbene lo studio - pubblicato su JAMA Oncol come brief report di ricerca - abbia innegabili limiti (basso numero di pazienti inclusi, esclusiva etnia orientale con prevalenza di infezione HBV, arbitrarietà del cut-off utilizzato per definire elevato il livello di AAA, focus ad un time-point troppo precoce per intercettare la genesi di anticorpi neutralizzanti, ecc.... ) il messaggio è interessante: la determinazione del titolo di anticorpi anti atezolizumab al secondo ciclo di terapia potrebbe permettere di individuare pazienti con minore chance di beneficio dalla combinazione atezo/beva, pazienti sui quali ragionare riguardo la possibilità di una precoce alternativa terapeutica.

Consiglio pratico per proseguire la linea di ricerca. IMbrave. Are you?