Immunoterapia
Giovedì, 08 Aprile 2021
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Carcinoma esofageo localizzato: nivolumab aumenta la possibilità di guarigione

A cura di Giuseppe Aprile

Novità di rilievo assoluto per pazienti con carcinoma dell'esofago. Lo studio CheckMate 577 dimostra l'efficacia di nivolumab dopo chemioradioterapia preoperatoria e chirurgia. Quali implicazioni nella pratica clinica?

Kelly RJ, Ajani JA, Kuzdzal J, Zander T, Van Cutsem E, Piessen G, Mendez G, Feliciano J, Motoyama S, Lièvre A, Uronis H, Elimova E, Grootscholten C, Geboes K, Zafar S, Snow S, Ko AH, Feeney K, Schenker M, Kocon P, Zhang J, Zhu L, Lei M, Singh P, Kondo K, Cleary JM, Moehler M; CheckMate 577 Investigators. Adjuvant Nivolumab in Resected Esophageal or Gastroesophageal Junction Cancer. N Engl J Med. 2021 Apr 1;384(13):1191-1203.

E' ben noto che il modo migliore per affrontare il percorso di cura del paziente con carcinoma esofageo localizzato sia per definizione multidisciplinare: la patologia esofagea, infatti, costituisce un paradigma per l'applicazione della piattaforma che integra expertise di chirurghi, radioterapisti, oncologi medici e nutrizionisti.

Nonostante i progressi dei trattamenti intergrati, la possibilità di guarigione  rimane limitato, soprattutto nel caso in cui la terapia preoperatoria non produca un risposta patologica completa.

Nella strategia terapeutica è teoricamente possibile seguire due linee di percorso: la proposta preoperatoria con chemioradioterapia secondo modello CROSS (van Hagen P, et al. N Engl J Med 2012), ovvero una proposta di sola chemioterapia perioperatoria con lo schema FLOT per pazienti fit (Al-Batran SE, et al. Lancet 2019) o con doppietta per pazienti meno performanti. In ogni caso, la terapia sistemica deve essere integrata alla chirurgia, necessaria per ottenere la guarigione. Lo standard terapeutico attuale dopo l'intervento suggerito da tutte le linee guida ad oggi rimane la sola osservazione.

Lo studio global CheckMate 577, con un disegno di fase III randomizzato in doppio cieco 2:1 controllato con placebo, ha previsto l'accrual di pazienti con carcinoma esofageo o della giunzione gastroesofagea (sia adenocarcinoma che con istologia squamosa) in stadio II o III, ECOG PS 0-1 che, dopo la chemioRT preoperatoria e chirurgia R0 ma con malattia residua ypT1 e/o ypN1, erano randomizzato a uno dei seguenti bracci:

- nivolumab 240 mg ev ogni due settimane per 16 settimane, poi 480 mg ogni 4 settimane (fino a un anno di terapia)

- placebo

Endpoint primario dello studio era la DFS, mentre endpoint secondari erano sia la sopravvivenza overall che iltasso di sopravvivenza a timepoints annuali (1, 2 e 3 anni). Fattpri di stratificazione erano il tipo istologico, la presenza di malattia linfonodale postchirurgica e l'espressione di PD-L1 (minore di 1% vs >1%).

I dati - presentati in orale virtuale ad ESMO 2020 - sono stati pubblicati dopo un follow-up mediano di poco superiore ai due anni.

Sono stati screenati in tre anni oltre 1000 pazienti e poi randomizzati 794 (532 hanno ricevuto immunoterapia attiva e 262 placebo), ben distribuiti nei due bracci previsti dalla sperimentazione per età, razza, PS basale, stadio iniziale, localizzazione primaria della malattia (40% di sede giunzionale), istologia, presenza di malattia microscopica linfonodale, espressione di PD-L1 (75% dei casi avevano espressione inferiore a 1%).

La DFS mediana è stata di 22.5 mesi nel braccio sperimentale vs 11 mesi in quello standard (HR 0.69, 96,4% CI 0.56-0.86, p=0.0003), con una riduzione del rischio di progressione del 30%, senza sostanziali differenze per il beneficio di nivolumab nei sottogruppi analizzati.

Come atteso, la maggior parte degli effetti collaterali relati al trattamento era di grado 1 o 2, con un'incidenza degli eventi avversi di grado severo nel braccio di trattamento attivo sempre inferiore al 2%.

Interessante anche notare che nella analisi dei PROs non vi erano differenze in termini di overall health status (VAS e Utility Index); il 90% dei pazienti hanno completato FACT-E en EQ-5D-3L sia al basale che a 12 mesi.

Il trial CheckMate 577 dimostra che l'utilizzo dell'immunoterapia non scardina l'algoritmo terapeutico del paziente con carcinoma esofageo localizzato (vedi anche Fornaro L, et al. Cancer Treat Rev 2018), ma lo completa, aggiungendone una parte rilevante.

Infatti, pazienti sottoposti a chirurgia radicale dopo chemioRT preoperatoria beneficiano di un importante prolungamento della DFS mediana se ricevono a seguire anche nivolumab, con un rischio di progressione ridotto di olttre il 30% e il mantenimento di una buona QoL.

Ma nell'attesa di futuri update possiamo considerare la DFS come un buon surrogato di sopravvivenza overall? Si, almeno secondo una pooled analysis internazionale dei dati individuali di 5 trial randomizzati (Ronellenfitsch U, et al. Disease-free survival as a surrogate for overall survival in neoadjuvant trials of gastroesophageal adenocarcinoma: Pooled analysis of individual patient data from randomised controlled trials. Eur J cancer 2019).

Va tuttavia anche considerata la prospettiva terapeutica iniziale in base alla sede della neoplasia primitiva ed all'età del soggetto: per il paziente con carcinoma squamoso localizzato in sede cervicale la radiochemioterapia definitiva rimane una valida opzione; per il paziente con adenocarcinoma giunzionale (soprattutto se Siewert II con estensione addominale) la proposta potrebbe essere la chemioterapia perioperatoria, da modulare a seconda della fitness.

In ogni caso, per poter sfruttare le migliori opzioni terapeutiche oggi disponibili, è imprescindibile che i pazienti siano riferiti per questa chirurgia ad un centro ad alto volume, dove il tasso di complicanze postoperatorie  severe è inferiore al 20%, il rischio di leak anastomotico circa il 10% e la mortalità a 90 giorni inferiore al 4%.

Inoltre, rimane da stabilire quale sia il miglior trattamento nei pazienti con instabilità dei microsatelliti (rari, ma meno di quanto pensiamo).