Un’analisi congiunta di 68 studi prospettici ha valutato l’incidenza di eventi avversi sulla base dell’eventuale trattamento radioterapico ricevuto nei 3 mesi precedenti l’inizio dell’immunoterapia. I risultati? Rassicuranti. Non è stato registrato alcun incremento delle tossicità severe.
Anscher MS, Arora S, Weinstock C, et al. Association of Radiation Therapy With Risk of Adverse Events in Patients Receiving Immunotherapy: A Pooled Analysis of Trials in the US Food and Drug Administration Database. JAMA Oncol. Published online January 06, 2022. doi:10.1001/jamaoncol.2021.6439
Negli ultimi anni, il numero di indicazioni all’impiego degli inibitori del checkpoint immunitario (immune checkpoint inhibitors, ICIs) è aumentato vertiginosamente, e l’immunoterapia è ora parte del trattamento standard di numerose neoplasie solide. Di conseguenza, è frequente la necessità di dover iniziare un trattamento immunoterapico in pazienti che hanno da poco completato un trattamento radioterapico, come parte del trattamento standard anti-tumorale (ad esempio chemio-radioterapia per un tumore del polmone localmente avanzato, candidato poi ad immunoterapia di consolidamento), oppure ricevuto come terapia su una o più sedi metastatiche, a scopo di controllo dei sintomi o a scopo di controllo di una malattia oligometastatica.
Gli autori dell’articolo recentemente pubblicato su JAMA Oncology sottolineano che molto spesso i clinici si sono trovati a dover iniziare questi trattamenti senza grosse evidenze relative alla sicurezza di un trattamento immunoterapico iniziato subito dopo la somministrazione di radioterapia a dosi più o meno alte e su sedi più o meno estese.
L’analisi pubblicata su JAMA Oncology è stata condotta proprio con l’obiettivo di valutare se ci fosse un rischio aumentato di eventi avversi (AE) seri potenzialmente associati all’immunoterapia, in chi avesse ricevuto precedentemente una radioterapia, in particolare nei 90 giorni precedenti l’inizio del trattamento immunoterapico.
L’analisi è stata realizzata impiegando I dati individuali dei pazienti inseriti in 68 studi prospettici di ICIs, sottomessi alla U.S. Food and Drug Administration (FDA) fino a dicembre 2019.
I pazienti sono stati divisi in 2 gruppi:
(1) pazienti che avevano ricevuto radioterapia nei 90 giorni precedenti l’inizio dell’immunoterapia
(2) pazienti che NON avevano ricevuto radioterapia nei 90 giorni precedenti l’inizio dell’immunoterapia. Questi ultimi sono stati ulteriormente divisi tra chi non aveva ricevuto alcuna radioterapia, e chi l’aveva ricevuta oltre 90 giorni prima.
La frequenza e la severità degli eventi avversi è stata confrontata tra i gruppi, mediante un’analisi basata su propensity score–matching perché i gruppi confrontati risultassero simili per le principali caratteristiche prognostiche. Le caratteristiche incluse nel matching erano: performance status, numero di precedenti linee di terapia, tipo di tumore, tipo di immunoterapia, età, sesso, razza / etnia, nazione.
Tutti i pazienti inseriti nell’analisi avevano ricevuto un ICI (atezolizumab, avelumab, cemiplimab, durvalumab, ipilimumab, nivolumab, or pembrolizumab).
Le analisi sono state considerate esploratorie, in quanto non pianificate, senza formale valutazione della significatività statistica delle eventuali differenze riscontrate tra i gruppi.
Complessivamente, sono stati identificati 25 469 pazienti potenzialmente eleggibili. Di questi, escludendo quelli che non avevano ricevuto un ICI (n=4949), quelli che avevano ricevuto radioterapia ma al di fuori della finestra temporale scelta per il confronto (n=2338), quelli che avevano dati mancanti in 1 o più variabili per essere correttamente valutati per l’analisi matched (n=371) e quelli per i quali mancava un controllo che avesse ricevuto radioterapia (n=976), l’analisi è stata condotta complessivamente su 16835 pazienti. Di essi, 1733 avevano ricevuto radioterapia nei 90 giorni precedenti l’inizio della terapia, 1146 avevano ricevuto radioterapia oltre 90 giorni prima, e 13956 non l’avevano ricevuta.
La maggior parte dei pazienti aveva un’età inferiore a 65 anni (9447 [56.1%]), era di sesso maschile (10 459 [62.1%]) e caucasica (13422 [79.7%]). Le caratteristiche principali erano simili tra il gruppo di pazienti che aveva ricevuto radioterapia nei 90 giorni precedenti e il gruppo di controllo.
Confrontando i 2 gruppi, la differenza media assoluta nella frequenza di eventi avversi è risultata pari a 1.2% (in più nel gruppo di pazienti che aveva ricevuto radioterapia), andando da 0% per gli eventi avversi neurologici a 8% in più per la fatigue. Non sono state riscontrate differenze rilevanti nell’incidenza di eventi avversi severi (grado 3-4) tra i 2 gruppi, con una differenza assoluta da 0.01% a 2% a seconda degli eventi.
In particolare, il gruppo di pazienti che aveva ricevuto radioterapia nei 90 giorni precedenti ha riportato incidenze lievemente maggiori di fatigue, endocrinopatie e polmonite rispetto al gruppo di controllo, ma tale differenza è risultata sostanzialmente attribuibile ad eventi di severità lieve e moderata. Chi aveva ricevuto radioterapia nei 90 giorni precedenti ha riportato incidenze lievemente superiori di eventi avversi anche rispetto a chi aveva ricevuto radioterapia più di 90 giorni prima. Questi ultimi hanno riportato un’incidenza lievemente aumentata di polmonite rispetto al gruppo di pazienti non sottoposti a radioterapia.
L’analisi corretta mediante propensity score matching ha prodotto risultati sostanzialmente simili. Nel gruppo di pazienti sottoposti a radioterapia nei 90 giorni precedenti è stato registrato un leggero incremento dell’incidenza di polmonite, trombocitopenia e fatigue. Rispetto al gruppo che non aveva ricevuto radioterapia, una incidenza lievemente maggiore di polmonite è stata riscontrata nel gruppo di pazienti che avessero ricevuto radioterapia oltre 90 giorni prima dell’inizio dell’immunoterapia.
Sulla base dei risultati sopra sintetizzati, gli autori concludono che l’aver ricevuto una radioterapia nei 90 giorni precedenti l’inizio del trattamento radioterapico non aumenta in maniera rilevante il rischio di sviluppare eventi avversi, se non qualche tossicità non severa.
Gli autori sottolineano che I risultati presentati nel lavoro, robusti grazie al numero di studi inclusi nell’analisi e al tentativo di correggere l’analisi mediante propensity score matching, sono coerenti con quanto già suggerito dai dati singoli esistenti in letteratura. Pur avendo registrato un leggero incremento nel rischio di sviluppare alcune tossicità (ad esempio la polmonite, la trombocitopenia, gli eventi avversi renali, la fatigue) nei soggetti che iniziano un trattamento immunoterapico nella finestra temporale corrispondente al rischio di eventi avversi acuti con la radioterapia (90 giorni), la dimensione assoluta di tali incrementi è piccola, corrispondente a pochi punti percentuali, e soprattutto pressoché interamente attribuibile a eventi di grado non severo.
Un corposo paragrafo dell’articolo è dedicato alla discussione dei limiti dell’analisi. Gli autori riconoscono che il quesito in questione (interazione della radioterapia con l’immunoterapia) non era oggetto specifico della raccolta dati in nessuno degli studi, e quindi alcuni aspetti importanti relativi ai dettagli del trattamento radioterapico non erano inclusi (ad esempio i dettagli relativi ai campi di irradiazione). Ad esempio, diversi sono i rischi di un trattamento multi-frazionato con grandi campi di irradiazione per trattare con intento curativo un tumore localmente avanzato, rispetto a un trattamento palliativo, con 1-2 frazioni su un piccolo campo di irradiazione.
Quest’ultimo ha poche possibilità di produrre un danno significativo ai tessuti sani, pur essendo potenzialmente in grado di “scatenare” un effetto pro-immunoterapico facilitando il rilascio di neoantigeni dalle cellule tumorali. Il precedente, invece, ha più possibilità di scatenare una reazione significativa a livello del tessuto peri-tumorale. I dettagli sulle dosi e sull’esposizione dei tessuti sani circostanti, come sottolineano gli autori, sarebbero cruciali in particolare per alcuni organi notoriamente sensibili allo sviluppo di tossicità associate alla radioterapia nonché di tossicità immuno-mediate, come il polmone o l’intestino.
Considerato il grande numero di pazienti inclusi nell’analisi, anche se qualcuno è stato escluso per dati mancanti, è ragionevole che l’analisi fosse sufficientemente sensibile da evidenziare un’eventuale differenza rilevante nell’incidenza di eventi avversi tra chi aveva ricevuto radioterapia e chi non l’aveva ricevuta. Naturalmente, si tratta di un’analisi esploratoria, che rassicura, nel complesso, sulla sicurezza della somministrazione dell’immunoterapia indipendentemente dalla precedente radioterapia. Peraltro, è bene che casi specifici vengano sempre discussi collegialmente, prendendo in considerazione le caratteristiche individuali del paziente, della sede e dell’estensione del trattamento radioterapico ricevuto.