Immunoterapia
Sabato, 16 Aprile 2022

Immunoterapia negli stadi precoci: nuova vita alla terapia neoadiuvante nel tumore del polmone?

A cura di Massimo Di Maio

Dopo i dati preliminari molto promettenti che già qualche anno fa guadagnarono le pagine del New England, lo studio randomizzato Checkmate 816 ha testato l’aggiunta del nivolumab alla chemioterapia neoadiuvante nel tumore del polmone resecabile. I risultati sono importanti: un quarto dei pazienti ottiene risposta patologica completa, e pur in assenza dei dati maturi di sopravvivenza, si vede un netto vantaggio in termini di recidive.

Forde PM, Spicer J, Lu S, Provencio M, Mitsudomi T, Awad MM, Felip E, Broderick SR, Brahmer JR, Swanson SJ, Kerr K, Wang C, Ciuleanu TE, Saylors GB, Tanaka F, Ito H, Chen KN, Liberman M, Vokes EE, Taube JM, Dorange C, Cai J, Fiore J, Jarkowski A, Balli D, Sausen M, Pandya D, Calvet CY, Girard N; CheckMate 816 Investigators. Neoadjuvant Nivolumab plus Chemotherapy in Resectable Lung Cancer. N Engl J Med. 2022 Apr 11. doi: 10.1056/NEJMoa2202170. Epub ahead of print. PMID: 35403841.

La chemioterapia neoadiuvante, che nel trattamento del tumore del polmone non a piccole cellule (non small cell lung cancer, NSCLC) resecabile ha dimostrato negli scorsi anni un’efficacia sostanzialmente simile alla somministrazione adiuvante, non ha mai trovato un grande spazio nella pratica clinica. Nelle linee guida AIOM (edizione 2021), il suo impiego non è contemplato nell’algoritmo di trattamento dei casi direttamente resecabili, mentre è citata la possibilità, da valutare in un approccio multidisciplinare caso per caso, di impiegarla in casi localmente avanzati che possano essere ragionevolmente ricondotti a un intervento chirurgico.

In questi ultimi anni, l’immunoterapia ha guadagnato una posizione importantissima nel trattamento del NSCLC avanzato e, al pari di altri tumori, numerosi studi stanno valutando il suo impiego negli stadi più precoci. Recentemente, il farmaco antiPD-L1 atezolizumab ha dimostrato efficacia nel prolungare la disease-free survival quando impiegato come trattamento adiuvante, non in contemporanea ma dopo la chemioterapia, e anche altri immune checkpoint inhibitors (pembrolizumab) sono stati sperimentati in questo setting.

Esperienze preliminari con l’impiego neoadiuvante dell’immunoterapia (in particolare con il nivolumab) hanno prodotto risultati molto interessanti, prontamente commentati su Oncotwitting nel 2018 (https://www.oncotwitting.it/patologia-polmonare/immunoterapia-prima-della-chirurgia-toracica)

In questo scenario, si inseriscono i risultati dello studio randomizzato di fase III Checkmate 816, disegnato per testare l’efficacia dell’immunoterapia neoadiuvante, in aggiunta al trattamento chemioterapico, in pazienti con NSCLC resecabile.

Lo studio era condotto in aperto. I pazienti eleggibili avevano una neoplasia polmonare NSCLC in stadio (classificato secondo la settima edizione del TNM) compreso tra IB (con dimensioni maggiori di 4 cm, quindi sostanzialmente corrispondenti all’attuale stadio II) e IIIA.

Lo studio prevedeva la randomizzazione, in rapporto 1:1.

  • I pazienti assegnati al braccio di controllo ricevevano chemioterapia neoadiuvante, con uno schema a base di platino diversificato sulla base dell’istologia squamosa o non-squamosa, per 3 cicli.
  • I pazienti assegnati al braccio sperimentale ricevevano la medesima chemioterapia neoadiuvante, con l’aggiunta di nivolumab.

In entrambi i bracci, completati i cicli di trattamento neoadiuvante, lo studio prevedeva l’intervento chirurgico e, successivamente, l’eventuale trattamento adiuvante a discrezione dello sperimentatore.

Endpoint primari erano:

  • la sopravvivenza libera da eventi (progressione, recidiva o decesso);
  • la proporzione di risposte patologiche complete (definite come l’assenza di cellule tumorali nel campione operatorio, sia a livello del tumore primitivo che a livello dei linfonodi).

Era prevista una revisione centralizzata indipendente, in cieco rispetto al trattamento ricevuto.

La sopravvivenza globale era un endpoint secondario dello studio.

L’aggiunta del nivolumab alla chemioterapia è risultata associata a un significativo prolungamento della sopravvivenza libera da eventi (event-free survival). La sopravvivenza libera da eventi mediana, nel dettaglio, è risultata pari a 31.6 mesi (intervallo di confidenza al 95% 30.2 – non raggiunto) nel braccio sperimentale, e 20.8 mesi (intervallo di confidenza al 95% CI, 14.0 - 26.7) nel braccio di controllo (hazard ratio 0.63; intervallo di confidenza al 97.38% 0.43 - 0.91; p=0.005).

Per quanto riguarda l’altro endpoint primario, l’aggiunta del nivolumab è risultata associata a un significativo incremento delle risposte patologiche complete: 24.0% nel braccio sperimentale (intervallo di confidenza al 95% 18.0 - 31.0) vs 2.2% nel braccio di controllo (intervallo di confidenza al 95% 0.6 - 5.6) per un odds ratio pari a 13.94 (intervallo di confidenza al 99% 3.49 - 55.75; p<0.001).

Ottenere una risposta patologica completa (evento molto raro con la sola chemioterapia e ottenuto in circa un paziente su 4 tra quelli trattati con immunoterapia) ha un importante valore prognostico, risultando associato a prognosi nettamente migliore (in termini di event-free survival) sia nel braccio di controllo che nel braccio sperimentale.

Alla prima analisi ad interim, condotta come specificato nel protocollo, la sopravvivenza globale, numericamente migliore nel braccio sperimentale (hazard ratio 0.57, intervallo di confidenza al 99.67% 0.30 - 1.07) non ha soddisfatto la soglia per la significatività statistica.

La percentuale di pazienti che hanno eseguito effettivamente l’intervento chirurgico è risultata pari a 83.2% nel braccio sperimentale, rispetto al 75.4% nel braccio di controllo.

Dal punto di vista della tollerabilità, l’incidenza di eventi avversi severi (grado 3 o grado 4) ritenuti correlati al trattamento è risultata simile nei 2 bracci: 33.5% nel braccio sperimentale, 36.9% nel braccio di controllo.

I risultati dello studio CheckMate 816 non hanno guadagnato a caso le pagine del New England Journal of Medicine: il beneficio in termini di rischio di recidiva, nonché in termini di risposte patologiche complete, sono ottime premesse di una solida dimostrazione di efficacia (preannunciata anche dai dati preliminari di sopravvivenza globale, per quanto formalmente l’analisi pre-pianificata non consenta di concludere definitivamente sulla superiorità in termini di quello che, pur non essendo l’endpoint primario di questo come di altri studi condotti negli stadi precoci, rappresenta sicuramente l’endpoint di beneficio più “solido” e definitivo).

Nella pratica clinica, i pazienti con malattia resecabile vanno direttamente all’intervento chirurgico. L’indicazione al trattamento neoadiuvante significa rinviare l’intervento, e i dati del CheckMate 816 ci dicono che, pur in una casistica selezionata quale quella dello studio registrativo, una percentuale non del tutto trascurabile di pazienti non andava all’intervento chirurgico nonostante l’indicazione teorica. D’altra parte, come spesso discusso parlando dei trattamenti neoadiuvanti anche in altri tipi di tumori, l’eventuale mancato intervento chirurgico è veramente una perdita di opportunità, o è semplicemente la selezione prognostica dei casi che sarebbero stati comunque a prognosi meno favorevole.

Al netto di queste considerazioni (e dei risvolti psicologici che la mancata esecuzione della chirurgia può avere sul paziente), non c’è dubbio che i risultati dell’aggiunta del nivolumab alla chemioterapia siano molto interessanti.

L’attività è concretamente misurabile nell’immediato (in termini di risposte patologiche complete all’esame istologico), a differenza della somministrazione adiuvante, che ovviamente viene eseguita senza la possibilità di sapere se il trattamento stia funzionando o meno.

Interessanti, anche se solo esploratori, i dati delle analisi di sottogruppo basate sul livello di espressione di PD-L1. Questi dati sembrano confermare che il PD-L1 è un biomarker predittivo dell’efficacia dell’immunoterapia, sicuramente interessante ma subottimale, sia in termini di predittività positiva che di predittività negativa.

Altrettanto interessanti, e altrettanto esploratori, i dati del sottogruppo di pazienti nei quali è stata misurata la clearance del DNA tumorale circolante. Al pari dei risultati disponibili in altri tumori, la persistenza di DNA in circolo dopo un trattamento somministrato a scopo potenzialmente guaritivo ha un chiaro valore prognostico, e può essere teoricamente impiegata non solo per fotografare la prognosi ma anche per selezionare pazienti per i quali occorra intensificare il trattamento post-operatorio, ovviamente in ambito sperimentale.

La lettura del lavoro di NEJM, e della relativa appendice supplementare, offre molti spunti di riflessione su quello che, nel prossimo futuro, potrebbe diventare un ennesimo esempio di estensione dell’impiego degli immune checkpoint inhibitors agli stadi precoci.