Dopo una precedente metanalisi che suggeriva una maggiore efficacia negli uomini che nelle donne, una più recente non riscontra differenze significative. La morale? Al momento non è possibile selezionare i pazienti in base al sesso.
Wallis CJD, Butaney M, Satkunasivam R, Freedland SJ, Patel SP, Hamid O, Pal SK, Klaassen Z. Association of Patient Sex With Efficacy of Immune Checkpoint Inhibitors and Overall Survival in Advanced Cancers: A Systematic Review and Meta-analysis. JAMA Oncol. 2019 Jan 3. doi: 10.1001/jamaoncol.2018.5904. [Epub ahead of print] PubMed PMID: 30605213.
Negli ultimi anni, l’immunoterapia è diventata il trattamento standard di numerose neoplasie, e ulteriori risultati practice-changing sono attesi nel prossimi futuro.
Allo scopo di ottimizzare la selezione dei pazienti candidati al trattamento, nell’ottica di una “medicina personalizzata” anche con i farmaci immunoterapici, numerosi studi provano a identificare fattori predittivi di efficacia. Tra le caratteristiche cliniche potenzialmente associate ad una maggiore o minore efficacia del trattamento immunoterapico, va considerato anche il sesso, in quanto sono documentate differenze nell’attività del sistema immunitario tra maschi e femmine.
In linea di principio, l’interazione statistica tra una caratteristica dei soggetti (come il sesso maschile o femminile) e l’efficacia relativa dei trattamenti confrontati può essere di tipo qualitativo (vale a dire che il trattamento A è meglio di B in un sesso mentre il trattamento B è meglio di A nell’altro sesso) oppure di tipo quantitativo (vale a dire che A è meglio di B in tutti i pazienti, ma la dimensione del beneficio è maggiore in un sesso e minore nell’altro).
Una precedente metanalisi pubblicata mesi fa da Lancet Oncology e già commentata da Oncotwitting (https://www.oncotwitting.it/immunoterapia/item/826-sesso-e-genere#top_tab_acc3), basata sugli studi pubblicati fino a novembre 2017, aveva suggerito che, pur essendo efficace sia nei maschi che nelle femmine, l'efficacia dell'immunoterapia fosse quantitativamente maggiore nei maschi. Nel dettaglio, quell’analisi aveva considerato tutti gli studi pubblicati fino al 30 novembre 2017, ed erano eleggibili per l’analisi le pubblicazioni relative a studi randomizzati che avessero testato l’efficacia di un immune checkpoint inhibitor (quindi sia inibitori dell’asse PD-1 / PD-L1 che inibitori di CTLA-4), e che presentassero nella pubblicazione il dato di efficacia (Hazard Ratio rispetto al braccio di controllo) sia per i maschi che per le femmine. Nel complesso, l’analisi di Conforti aveva preso in considerazione i dati relativi a 11351 pazienti con neoplasia avanzata o metastatica, di cui 7646 maschi (pari al 67% della popolazione totale) e 3705 femmine (pari al rimanente 33% della popolazione totale). Erano inclusi tutti i tipi di neoplasia, e i tumori più rappresentati nell’analisi erano il melanoma (32% dei pazienti) e il tumore del polmone non a piccole cellule (31%). Complessivamente, l’Hazard Ratio era risultata pari a 0.72 (intervallo di confidenza al 95% 0.65 – 0.79) nei maschi trattati con immunoterapia rispetto ai maschi assegnati ai gruppi di controllo, mentre nelle donne trattate con immunoterapia, rispetto alle donne assegnate ai gruppi di controllo, l’Hazard Ratio era risultata pari a 0.86 (intervallo di confidenza al 95% 0.79 – 0.93). Il test di interazione tra il genere e l’efficacia dell’immunoterapia è risultato statisticamente significativo (p=0.0019).
Il risultato di Conforti e colleghi ha avuto discreta risonanza scientifica, invitando a fare studi sulle possibili cause della minore efficacia dell’immunoterapia nelle donne.
Ora, il lavoro pubblicato all'inizio del 2019 da JAMA Oncology riprende e aggiorna il medesimo quesito, vale a dire la descrizione dell'interazione tra il sesso maschile o femminile dei pazienti e l'efficacia dei trattamenti immunoterapici di nuova generazione.
Gli autori hanno realizzato una revisione sistematica degli studi randomizzati, pubblicati entro il 2 ottobre 2018, che abbiano confrontato un farmaco immunoterapico con il trattamento standard nei pazienti affetti da tumori solidi. Perché gli studi fossero eleggibili per la metanalisi, la pubblicazione doveva riportare il dato di sopravvivenza globale, e doveva essere riportata l’analisi di sottogruppo in base al sesso maschile o femminile. Al contrario, sono stati esclusi dall’analisi studi non randomizzati, studi osservazionali, editoriali, review, nonché gli studi in cui un trattamento immunoterapico fosse presente in entrambi i bracci di terapia.
Sono stati identificati ed inclusi nella metanalisi 23 studi randomizzati. Tali studi avevano complessivamente randomizzato 9322 pazienti di sesso maschile (pari al 67.9% della casistica totale) e 4399 pazienti di sesso femminile (pari al 32.1% del totale).
L’analisi della sopravvivenza globale stratificata per sesso ha documentato un’efficacia significativa del trattamento immunoterapico rispetto al trattamento di controllo sia nei maschi (hazard ratio 0.75, intervallo di confidenza al 95% 0.69 – 0.81, p< 0.001) che nelle femmine (hazard ratio 0.77, intervallo di confidenza al 95% 0.67 – 0.88, p=0.002).
L’analisi dell’interazione tra sesso ed efficacia del trattamento non ha documentato un’interazione significativa (I2 = 38%; p = 0.60).
Gli autori hanno provato a condurre analisi di sottogruppo (con il medesimo obiettivo dell’analisi primaria) in base al tipo di tumore primitivo, alla linea di terapia, alla classe di farmaci immunoterapici, alla metodologia di studio e alla percentuale di donne inserite nello studio. Tali analisi di sottogruppo hanno sostanzialmente confermato il risultato principale.
La metanalisi ora pubblicata su JAMA Oncology smentisce o contraddice quella pubblicata l'anno scorso su Lancet Oncology? La precedente documentava un'interazione significativa di tipo quantitativo, con un'efficacia maggiore nei maschi che nelle femmine; la seconda, invece, non documenta alcuna interazione significativa.
Nel commentare i dati, è importante sottolineare che (interazione quantitativa o no) entrambe le analisi concordano nel documentare un'efficacia significativa dell'immunoterapia sia nei maschi che nelle femmine.
Va sottolineato che il risultato di una metanalisi basata su dati di letteratura ha il merito di prendere in considerazione tutta l’evidenza disponibile al momento della raccolta dei dati, ma al tempo stesso ha il limite di “fermarsi” al livello delle informazioni aggregate nei singoli studi, non potendo analizzare il dettaglio a livello del singolo paziente.
Nei fatti, questo impedisce di considerare eventuali fattori confondenti, vale a dire fattori potenzialmente associati a una maggiore o minore efficacia dell’immunoterapia, che possono essere sbilanciati tra maschi e femmine. Ad esempio, se consideriamo che è abbastanza solida l’evidenza che documenta un’associazione tra storia di fumo ed efficacia dell’immunoterapia (nel senso di una maggiore efficacia nei pazienti fumatori), è chiaro che la minore proporzione di soggetti fumatori nelle donne rispetto agli uomini può giustificare, almeno in parte, la minore efficacia osservata nella precedente metanalisi di Conforti per i soggetti di sesso femminile.
Nel complesso, le evidenze prodotte da queste metanalisi non hanno, al momento, immediate ripercussioni nella pratica clinica. Nelle indicazioni di provata efficacia, al momento, il sesso del paziente non dovrebbe modificare la decisione di impiegare o meno l’immunoterapia. Questo non riduce l'interesse negli studi che, a livello individuale del paziente e non solo a livello di dati aggregati di letteratura, possano migliorare la conoscenza dei fattori predittivi.