Il vaccino antiinfluenzale è sicuro nei pazienti che ricevono immunoterapia ovvero ne determina un aumento degli effetti collaterali immunomediati? La risposta a uno studio della Mayo Clinic.
Failing JJ, et al. Safety of Influenza Vaccine in Patients With Cancer Receiving Pembrolizumab. JCO Oncol Pract 2020, Epub ahead of print Feb 6
In altre occasioni abbiamo discusso su Oncotwitting riguardo alla vaccinazione anti-influenzale nei pazienti oncologici e in particolare in quelli candidati a ricevere immunoterapia [vedi, ad esempio "Vaccino anti-influenzale per i pazienti che ricevono immunoterapia: come ci regoliamo?" oppure "Vaccinazione anti-influenzale nei pazienti oncologici: nuove evidenze?"]. In questo articolo, gli autori della Mayo Clinic mirano a chiarire se il vaccino antiinfluenzale possa aumentare l'incidenza di effetti collaterali immuno-relati [irAE] in pazienti che ricevono un PD-1 inibitore, dubbio alimentato da report con risultati in conflitto.
Nello studio, condotto in un unico centro e disegnato come retrospettivo, sono stati esaminati i dati provenienti da cartelle informatizzate - EMR - e dati da registri di salute pubblica; endpoint primario dello studio era verificare se vi fosse una più alta prevalenza di irAE nei pazienti vaccinati [vs i non vaccinati] quando trattati con pembrolizumab. Il caso era considerato se la vaccinazione antiinfluenzale stagionale era effettuata entro il mese precedente l'avvio della terapia.
Nel complesso, sono stati inclusi nello studio 162 pazienti, 92 nel gruppo dei non vaccinati e 70 in quello dei vaccinati.
Tra i due gruppi, non vi erano differenze significative in termini di genere, outcome, tipo di terapia eventualmente associata al pembrolizumab, patologia oncologica o durata del follow-up, ma i pazienti vaccinati avevano un'età mediana maggiore [69 anni vs 59, p=0.002] e ricevevano un maggiore numero mediano di cicli [14 vs .5, p=0.006].
I pazienti in immunoterapia che avevano precedentemente ricevuto il vaccino non solo non riportavano una maggiore incidenza di irAE, ma addirittura un numero assoluto inferiore [irAE di ogni gardo 25.7% vs 40.2%, p=0.07]. Lo stesso valeva analizzando solamente gli effetti collaterali immunorelati di grado 3 o 4 [5.7% vs 13%, p=0.2], sebbene i casi vacinati avessero una maggiore probabilità di sopsenzione del trattamento a causa dell'insorgenza di irAE [39% vs 17%].
Nella analisi multivariata, l'aver ricevuto il vaccino antiinfluenzale era associato in modo indipendente a un minor tasso di irAE [OR 0.4, 95%CI 0.2-0.9, p=0.003].
Certamente un dato confortante sapere che la vaccinazione antiinfluenzale - raccomandata nei pazienti oncologici - non incrementi il rischio di effetti collaterali in corso di immunoterapia con pembrolizumab. Tuttavia, la sicurezza sulla conclusione è limitata dalla natura retrospettiva dello studio, dalla consuzione monocentrica e dai potenziali bias di selezione, del non conoscere la motivazione della scelta pro/contro vaccinazione, e la possibilità che gli effetti collaterali immunorelati di grado minore [G1, G2] non siano stati documentati in modo preciso nella documentazione clinica.
Un grosso passo avanti lo avremo con i prossimi risultati dello studio INVIDIa-2 - attivo in un centinaio di centri oncologici italiani -, che oltre a verificare incidenza, durata, dati di diagnostica virologica e complicanze della sindrome influenzale in quasi 1.000 pazienti che ricevono immunoterapia, potrà fornire maggiori dati riguardo alla safety specifica nei pazienti vaccinati.