Una metanalisi riassume l’incidenza degli eventi avversi negli studi con i farmaci antiPD-1 e antiPD-L1, tentando anche un confronto indiretto tra i diversi farmaci. E’ utile, anche nell’informazione ai pazienti, non parlare solo di efficacia ma anche di tossicità.
Wang Y, Zhou S, Yang F, et al. Treatment-Related Adverse Events of PD-1 and PD-L1 Inhibitors in Clinical Trials: A Systematic Review and Meta-analysis. JAMA Oncol. Published online April 25, 2019. doi:10.1001/jamaoncol.2019.0393
Il numero di indicazioni dei farmaci immunoterapici di nuova generazione è rapidamente aumentato negli ultimi anni e, con esso, è aumentato il numero di pazienti che ricevono tali trattamenti nella pratica clinica. Complessivamente, si tratta di farmaci considerati meno tossici rispetto alla chemioterapia, ma naturalmente gli immune checkpoint inhibitors non sono privi di eventi avversi che, anzi, quando si verificano possono essere severi e complessi nella gestione.
Obiettivo della metanalisi pubblicata da JAMA Oncology era quello di valutare l’incidenza degli eventi avversi correlati al trattamento con i farmaci antiPD-1 e antiPD-L1, nelle varie indicazioni, provando a valutare, mediante un confronto indiretto, le differenze tra i vari farmaci e tra le 2 classi.
A tale scopo, gli autori hanno selezionato tutti gli studi clinici pubblicati, fino a dicembre 2018, su PubMed, Web of Science, Embase, e Scopus, che avessero valutato un farmaco antiPD-1 o un farmaco antiPD-L1, come agente singolo, purché in tali pubblicazioni fosse riportata l’incidenza degli eventi avversi correlati al trattamento.
Endpoint principali erano:
L’analisi è stata condotta con un approccio bayesiano.
Gli autori hanno incluso nella revisione sistematica, e nella successiva metanalisi, i dati di 125 studi clinici, per un totale di 20128 pazienti.
Sul totale dei 18610 pazienti valutabili per l’incidenza di eventi avversi di qualunque grado, 12277 (pari al 66.0%) hanno sviluppato almeno 1 evento avverso di qualunque severità.
Sul totale dei 18715 pazienti valutabili per l’incidenza di eventi avversi severi (grado 3 o superiore), 2627 (pari al 14%) hanno sviluppato almeno 1 evento avverso severo.
Considerando gli eventi avversi di qualunque severità, i più frequenti sono risultati:
Considerando gli eventi avversi severi (grado 3 o superiore), i più frequenti sono risultati:
Considerando gli eventi avversi immuno-correlati endocrine, quelli più frequenti sono risultati l’ipotiroidismo (6.07%; intervallo di confidenza al 95% 5.35% - 6.85%) e l’ipertiroidismo (2.82%; intervallo di confidenza al 95% 2.40% - 3.29%).
L’incidenza complessiva di morti tossiche è risultata pari a 0.45% (82 eventi su 18353 pazienti), e la causa più frequente è risultata la tossicità polmonare, con 23 casi letali, pari al 28.0% delle morti attribuite al trattamento.
Il confronto indiretto tra nivolumab e pembrolizumab, in termini di incidenza di eventi avversi di tutti i gradi riportati negli studi, ha evidenziato un’incidenza più alta con nivolumab (odds ratio, 1.28; intervallo di confidenza al 95% 0.97 - 1.79).
Analogamente, è riportata dagli autori una differenza in termini di incidenza di eventi avversi di grado 3 o maggiore (odds ratio, 1.30; intervallo di confidenza al 95% 0.89 - 2.00).
Il confronto indiretto tra inibitori di PD-1 e inibitori di PD-L1 in termini di incidenza di eventi avversi severi riportati negli studi, ha evidenziato un’incidenza più alta con gli inibitori di PD-1 (odds ratio, 1.58; intervallo di confidenza al 95%, 1.00-2.54).
Gli autori riprendono il dato della differenza in tossicità tra i vari farmaci anche nelle conclusioni dell’abstract. Va peraltro sottolineato che, per quanto condotta in maniera metodologicamente corretta, una metanalisi del genere si basa sul confronto indiretto tra studi diversi, e questo può inevitabilmente ridurre l’affidabilità delle conclusioni.
Prasad e Kaestner, in un articolo di un paio di anni fa, riferendosi a nivolumab e pembrolizumab, sottolineavano che “In terms of efficacy across a broad range of cancers, these drugs perform identically. In terms of toxicity, they are hardly distinguishable.” Le conclusioni della metanalisi ora pubblicata su JAMA Oncology, sostanzialmente, non modificano questa considerazione.
Le differenze tra nivolumab e pembrolizumab nell’incidenza degli eventi avversi seri, e nell’incidenza degli eventi avversi di ogni grado, non risultano statisticamente significative, e peraltro il confronto è reso inevitabilmente debole dall’assenza di confronti testa a testa, essendo basato sul confronto indiretto dei dati riportati nei rispettivi studi.
Tali confronti indiretti possono mediamente essere affidabili nel definire differenze grossolane tra un trattamento e l’altro, mentre sono meno affidabili se le differenze sono plausibilmente piccole, in quanto l’ordine di grandezza del “rumore di fondo” (ad esempio differenze nella modalità di valutazione e report degli eventi avversi negli studi) rischia di essere simile, se non maggiore, rispetto all’ordine di grandezza delle differenze osservate.
Simili considerazioni valgono anche per la differenza tra antiPD-1 e antiPD-L1, sebbene vada ricordato che, in merito a tale confronto, esistevano già alcune analisi che in letteratura, sempre ovviamente basandosi su confronti indiretti, avevano suggerito una differenza nell’incidenza di eventi avversi, in particolare di polmoniti, a favore dei farmai antiPD-L1.
Il pregio della metanalisi è quello di fornire un dato aggiornato sull’incidenza delle tossicità con i farmaci immune checkpoint inhibitors, utile per l’informazione ai pazienti al momento della proposta terapeutica.