Uno studio randomizzato, anche se di piccole dimensioni, ha provato a valutare l’effetto abscopal della radioterapia in pazienti che ricevevano nivolumab per una neoplasia del testa-collo avanzata: il risultato è negativo.
McBride S, Sherman E, Tsai CJ, Baxi S, Aghalar J, Eng J, Zhi WI, McFarland D, Michel LS, Young R, Lefkowitz R, Spielsinger D, Zhang Z, Flynn J, Dunn L, Ho A, Riaz N, Pfister D, Lee N. Randomized Phase II Trial of Nivolumab With Stereotactic Body Radiotherapy Versus Nivolumab Alone in Metastatic Head and Neck Squamous Cell Carcinoma. J Clin Oncol. 2020 Aug 21:JCO2000290. doi:10.1200/JCO.20.00290. Epub ahead of print. PMID: 32822275.
Sono vari anni che la letteratura oncologica riporta casi di cosiddetto effetto “abscopal”, vale a dire la risposta ottenuta, in seguito all’irradiazione di una sede di malattia, anche in una o più altre sedi metastatiche.
Dal punto di vista biologico e clinico, naturalmente, questo effetto è molto interessante, e ulteriore interesse è nato per il possibile effetto sinergistico della somministrazione di radioterapia in tutti i setting clinici nei quali, negli ultimi anni, l’immunoterapia di nuova generazione ha dimostrato efficacia.
Tra questi, ci sono anche i tumori del distretto cervico-facciale, in cui il nivolumab, anticorpo monoclonale anti-PD1, ha dimostrato efficacia, come agente singolo, nei pazienti con malattia avanzata resistente alla chemioterapia contenente platino.
Purtroppo, pur avendo dimostrato un prolungamento significativo della sopravvivenza globale, la prognosi dei pazienti in questo setting, clinicamente molto impegnativo, rimane scadente.
Gli autori dello studio randomizzato, appena pubblicato sul Journal of Clinical Oncology, avevano l’obiettivo di verificare l’eventuale azione sinergistica della radioterapia nei pazienti candidati a ricevere nivolumab. In particolare, i criteri di eleggibilità dello studio, e il suo endpoint primario, miravano a verificare la rilevanza dell’effetto “abscopal”.
Nello studio di fase II randomizzato erano eleggibili pazienti con neoplasia del distretto cervico-facciale, metastatica, che avessero almeno 2 lesioni metastatiche, una delle quali potesse essere irradiata, e almeno un’altra che fosse misurabile secondo i criteri RECIST.
Lo studio prevedeva:
Endpoint primario era la proporzione di risposte obiettive sulle sedi NON irradiate.
Lo studio ha visto la randomizzazione di 62 pazienti complessivi, dei quali 30 randomizzati al braccio di controllo con il solo nivolumab e 32 randomizzati al braccio sperimentale con nivolumab + radioterapia stereotassica.
I 2 bracci non differivano significativamente in quanto ad età, a stato virale di EBV e HPV, a sede del tumore primitive e a numero mediano di precedenti linee di chemioterapia.
L’analisi dell’endpoint primario non ha evidenziato differenze significative tra i 2 bracci: la proporzione di risposte obiettive è risultata pari al 34.5% nel braccio di controllo [intervallo di confidenza al 95% 19.9% - 52.7% rispetto al 29.0% nel braccio sperimentale [intervallo di confidenza al 95% 16.1% - 46.6%]; p =0.86).
Un’analisi esploratoria ha valutato l’eventuale interazione tra lo stato di PDL1 e l’attività del trattamento in termini di risposte obiettive, non riscontrando interazioni significative.
Non sono state osservate differenze significative tra i 2 bracci anche negli altri endpoint:
Le tossicità sono risultate simili tra i 2 bracci, con un ‘incidenza di tossicità severe (grado 3-5) rispettivamente pari al 13.3% nel braccio di controllo rispetto al 9.7% nel braccio sperimentale (p=0.70).
Purtroppo, anche se basato su un intrigante razionale, lo studio si è concluso con un risultato negativo. Nel braccio sperimentale, infatti, rispetto al braccio di controllo non è stato riscontrato alcun aumento delle risposte obiettive, e quindi nessuna “prova” sperimentale dell’effetto abscopal.
In generale, anche se in varie circostanze sono difficilmente fattibili, gli studi randomizzati sono sempre il metodo migliore per la verifica di un’ipotesi. In questo caso, gli autori si sono sforzati di condurre un confronto randomizzato, e di questo va riconosciuto tutto il merito. Peraltro, a onor del vero, la numerosità campionaria è alquanto limitata, e lo studio aveva una potenza sufficiente solo per evidenziare differenze “grosse” tra i bracci nella proporzione di risposte obiettive.
Ribaltando il discorso, però, possiamo dire che, se l’obiettivo è quello di dimostrare l’esistenza dell’effetto abscopal non come “case report” aneddotico ma come fenomeno di qualche rilevanza nella clinica, allora anche uno studio come quello ora pubblicato può escludere, con ragionevole affidabilità, che l’effetto sia clinicamente molto frequente.
Il risultato di questo studio si inserisce in una nutrita letteratura che ha esplorato la potenziale sinergia della radioterapia con l’immunoterapia, ed ovviamente non è il dato negativo di un confronto basato su circa 60 pazienti a “smontare” l’intero castello. Molte delle evidenze prodotte, in altri tipi di neoplasia e in altri tipi di setting, rappresentano un ottimo razionale per continuare a studiare il modo migliore per ottimizzare la somministrazione di radioterapia e di immunoterapia. D’altra parte, come questo studio ci insegna, il modo migliore per la verifica delle ipotesi è comunque la conduzione di studi prospettici controllati.