Pubblicati sulle pagine del New England, dopo la presentazione di qualche mese fa all’ASCO, i risultati dello studio ADRIATIC, che valutava l’impiego del durvalumab come terapia adiuvante (consolidamento) dopo chemio-radioterapia nel microcitoma in stadio limitato. L’immunoterapia si candida a trattamento standard in questo setting avaro di progressi.
Cheng Y, Spigel DR, Cho BC, Laktionov KK, Fang J, Chen Y, Zenke Y, Lee KH, Wang Q, Navarro A, Bernabe R, Buchmeier EL, Chang JW, Shiraishi Y, Goksu SS, Badzio A, Shi A, Daniel DB, Hoa NTT, Zemanova M, Mann H, Gowda H, Jiang H, Senan S; ADRIATIC Investigators. Durvalumab after Chemoradiotherapy in Limited-Stage Small-Cell Lung Cancer. N Engl J Med. 2024 Oct 10;391(14):1313-1327. doi: 10.1056/NEJMoa2404873. Epub 2024 Sep 13. PMID: 39268857.
Il microcitoma polmonare è diviso, ai fini dell’algoritmo di trattamento, in malattia limitata (limited stage) in cui il trattamento standard da anni è rappresentato dalla combinazione di chemioterapia e radioterapia, e malattia estesa (extensive stage), che negli ultimi anni ha visto la dimostrazione di beneficio dell’aggiunta dell’immunoterapia con i farmaci anti-PD1 e anti-PDL1 alla chemioterapia.
Di fatto, con la dimostrazione di beneficio dell’immunoterapia sia negli stadi precoci che avanzati del tumore del polmone non a piccole cellule, e con il beneficio dell’immunoterapia nel microcitoma esteso, il microcitoma in stadio limitato rimaneva l’unico setting di tumore del polmone nel quale non si fosse dimostrata l’efficacia dei nuovi farmaci immune checkpoint inhibitors.
Sulla base di questa premessa è stato disegnato lo studio ADRIATIC, che ha testato l’impiego di durvalumab (anticorpo monoclonale anti-PDL1) successivo al trattamento chemio-radioterapico nei pazienti con microcitoma in stadio limitato. Il farmaco è stato testato sia da solo che in combinazione con il tremelimumab (anticorpo monoclonale anti-CTLA4), combinazione che è stata già sperimentata in tanti altri tipi di tumori solidi (incluso l’epatocarcinoma in cui tale combinazione è ora approvata come trattamento di prima linea della malattia avanzata).
ADRIATIC è uno studio randomizzato di fase 3, in doppio cieco.
I pazienti (senza evidenza di progressione di malattia dopo il completamento del trattamento chemio-radioterapico) sono stati randomizzati a uno di 3 bracci:
La randomizzazione era stratificata sulla base dello stadio (I vs II vs III) e sulla base dell’aver ricevuto o meno la radioterapia encefalica profilattica.
Endpoint primari dello studio erano la sopravvivenza globale (overall survival, OS) e la sopravvivenza libera da progressione (progression-free survival, PFS).
Lo studio prevedeva l’analisi separata del confronto dei 2 bracci sperimentali con il braccio di controllo. La pubblicazione del New England Journal of Medicine riporta i risultati dell’analisi ad interim, per i due endpoint primari, del braccio di solo durvalumab rispetto al placebo, mentre rimangono in cieco i risultati dell’analisi dell’altro braccio sperimentale che era trattato con la combinazione.
Lo studio ha visto la randomizzazione di 264 pazienti al braccio trattato con solo durvalumab, 200 pazienti al braccio trattato con la combinazione di durvalumab e tremelimumab e 266 pazienti al braccio trattato con placebo.
Per quanto riguarda la sopravvivenza globale, il durvalumab è risultato associato a un significativo prolungamento dell’OS (mediana pari a 55.9 mesi, intervallo di confidenza al 95% 37.3-n.r. rispetto a 33.4 mesi, intervallo di confidenza al 95% 25.5 – 39.9, hazard ratio 0.73, intervallo di confidenza al 98.321% 0.54 – 0.98, p=0.01).
Anche per quanto riguarda la sopravvivenza libera da progressione, il durvalumab è risultato associato a un significativo prolungamento della PFS (mediana pari a 16.6 mesi, intervallo di confidenza al 95% 10.2 – 28.2 rispetto a 9.2 mesi, intervallo di confidenza al 95% 7.4 – 12.9, hazard ratio 0.76, intervallo di confidenza al 97.195% 0.59 – 0.98, p=0.02).
L’incidenza di eventi avversi di grado 3 o 4 è risultata pari al 24.4% tra i pazienti assegnati al braccio di trattamento con durvalumab, rispetto al 24.2% tra i pazienti assegnati al placebo.
Gli eventi avversi hanno determinato l’interruzione della terapia nel 16.4% dei pazienti assegnati al trattamento con durvalumab e nel 10.6% dei pazienti assegnati al placebo.
Gli eventi avversi sono stati letali nel 2.7% dei pazienti assegnati al trattamento con durvalumab e nell’1.9% dei pazienti assegnati al placebo.
Una polmonite severa (grado 3 o 4) è stata diagnosticata nel 3.1% dei pazienti assegnati al trattamento con durvalumab rispetto al 2.6% dei pazienti assegnati al placebo.
Sulla base dei risultati sopra sintetizzati, gli autori concludono che il durvalumab si è dimostrato efficace nei pazienti con microcitoma in stadio limitato, sia in termini di sopravvivenza libera da progressione che di sopravvivenza globale.
Come già discusso nell’ambito della comunità scientifica internazionale quando i risultati dello studio sono stati per la prima volta presentati all’ASCO di quest’anno, lo studio ADRIATIC rappresenta la prima dimostrazione di beneficio dell’immunoterapia in questo setting di malattia.
Dopo anni, anzi decenni, di assenza di novità rilevanti per i pazienti affetti dal microcitoma in stadio limitato, per i quali la chemioterapia a base di platino e la radioterapia hanno rappresentato e rappresentano tuttora il trattamento standard pur ottenendo un risultato lontano dall’ottimale, i risultati presentati in plenaria all’ASCO e ora pubblicati sul NEJM sono indubbiamente una notizia rilevante.
Alcuni esperti, confrontando indirettamente il risultato dello studio con i risultati dell’immunoterapia nei pazienti con malattia in stadio avanzato, hanno sottolineato che la dimensione del beneficio nello stadio limitato appare molto rilevante, con un miglioramento della mediana di sopravvivenza globale di quasi 2 anni. La mediana, ovviamente, non cattura completamente la reale entità della dimensione del beneficio, ma è indubbio che il vantaggio anche in termini di sopravvivenza libera da progressione non è trascurabile.
Questo è importante, specialmente considerando la necessità di innovazione in questo setting e anche il fatto che l’aggiunta di un trattamento (adiuvante o consolidamento che dir si voglia) va ad aggiungere tossicità a un piano di trattamento che, essendo basato sulla combinazione di chemioterapia e radioterapia, già comporta una quota non trascurabile di eventi avversi per i pazienti. A tale proposito, abbastanza rassicurante è il dato relativo all’incremento molto modesto di tossicità polmonare (considerata tossicità di particolare interesse in ragione del noto profilo di tossicità dell’immunoterapia e del trattamento radioterapico precedente).
I risultati dello studio ADRIATIC possono essere considerati come un’innovazione che andrà a modificare la pratica clinica, pur rimanendo doverosamente in attesa dell’aggiornamento delle linee guida e delle necessarie decisioni regolatorie. D’altra parte, va segnalato che in questo setting di malattia non c’è ancora traccia della personalizzazione del trattamento basata sulle caratteristiche molecolari e biologiche: a fronte dei progressi fatti in questi anni nel tumore del polmone non a piccole cellule, il microcitoma ha un trattamento ancora “one size fits all”.