Immunoterapia
Sabato, 15 Ottobre 2016

Prima linea di terapia senza platino: ieri una speranza, oggi uno scenario concreto

A cura di Massimo Di Maio

Finora un trattamento di prima linea per i pazienti con NSCLC avanzato senza platino era realtà solo per i casi “oncogene-addicted”: i risultati dello studio KEYNOTE 024 hanno “sdoganato” questa possibilità, grazie all’immunoterapia, almeno in un gruppo selezionato di casi.

Reck M, Rodríguez-Abreu D, Robinson AG, Hui R, Csőszi T, Fülöp A, Gottfried M, Peled N, Tafreshi A, Cuffe S, O'Brien M, Rao S, Hotta K, Leiby MA, Lubiniecki GM, Shentu Y, Rangwala R, Brahmer JR; KEYNOTE-024 Investigators. Pembrolizumab versus Chemotherapy for PD-L1-Positive Non-Small-Cell Lung Cancer. N Engl J Med. 2016 Oct 8. PubMed PMID: 27718847.

L’immunoterapia di nuova generazione è già realtà, nella pratica clinica, grazie ai risultati ottenuti in seconda linea nei pazienti con NSCLC avanzato, con l’anticorpo anti-PD1 nivolumab dopo fallimento della terapia con platino. Vari altri farmaci anti-PD1 (tra cui il pembrolizumab) e anti-PDL1 (tra cui atezolizumab) sono attualmente oggetto di sperimentazione clinica nel NSCLC avanzato, anche nel setting di prima linea.

In passato, vari tentativi di “accantonare” la terapia con platino come trattamento di prima linea sono falliti: schemi di chemioterapia senza platino, pur attivi, hanno documentato una efficacia inferiore allo standard; farmaci biologici come gli inibitori di tirosino chinasi di EGFR, anche se molto attivi nei casi selezionati per la presenza della mutazione, sono purtroppo nettamente meno efficaci quando impiegati in pazienti non selezionati.

In questo scenario, si inserisce lo studio KEYNOTE 024, che ha valutato l’efficacia di pembrolizumab rispetto alla “classica” chemioterapia con platino come trattamento di prima linea dei pazienti con NSCLC avanzato. Come noto, mentre nivolumab ha evidenziato efficacia in seconda linea indipendentemente dall’espressione immunoistochimica di PD-L1, i dati preliminari con pembrolizumab hanno suggerito una maggiore attività del farmaco nei casi selezionati per elevata espressione di PD-L1. Sulla base di tale dato, l’inclusione nello studio KEYNOTE 024 è stata ristretta ai casi con espressione di PD-L1 pari ad almeno il 50% delle cellule tumorali.

Lo studio KEYNOTE 024 era uno studio randomizzato di fase 3, in aperto, che prevedeva l’inclusione di pazienti con NSCLC avanzato, senza mutazione di EGFR o traslocazione di ALK, con elevata espressione immunoistochimica di PD-L1, candidati al trattamento di prima linea.

I pazienti assegnati al braccio sperimentale ricevevano pembrolizumab (somministrato alla dose fissa di 200 mg ogni 3 settimane), mentre i pazienti assegnati al braccio di controllo ricevevano una chemioterapia a base di platino (cisplatino o carboplatino), con la scelta della specifica doppietta a scelta dello sperimentatore.

Alla progressione di malattia, i pazienti assegnati al braccio standard potevano ricevere pembrolizumab.

Endpoint primario dello studio era la sopravvivenza libera da progressione (PFS) , con revisione centralizzata indipendente.

Endpoint secondari erano la sopravvivenza globale, la proporzione di risposte obiettive, e la tollerabilità del trattamento.

Lo studio ha visto la randomizzazione di 305 pazienti, selezionati rispetto a un totale di 1934 pazienti screenati, di cui 1653 avevano tessuto disponibile per la determinazione immunoistochimica.

Il 18% circa dei pazienti aveva un tumore ad istologia squamosa, i rimanenti un tumore ad istologia non squamosa. I pazienti avevano performance status 0 o 1, bilanciati nei 2 bracci.

La PFS mediana è risultata pari a 10.3 mesi (intervallo di confidenza 95% 6.7 – non raggiunta) nel gruppo trattato con pembrolizumab, e 6.0 mesi (intervallo di confidenza 95% 4.2 - 6.2) nel gruppo trattato con chemioterapia (hazard ratio 0.50; intervallo di confidenza 95% 0.37 - 0.68; P<0.001).

La probabilità di sopravvivenza globale a 6 mesi è risultata pari a 80.2% nel gruppo trattato con pembrolizumab, e 72.4% nel gruppo trattato con chemioterapia (hazard ratio 0.60; 95% CI, 0.41 - 0.89; P=0.005).

La proporzione di risposte obiettive è risultata pari al 44.8% con pembrolizumab, rispetto al 27.8% con la chemioterapia, con una durata della risposta maggiore nel braccio sperimentale (mediana non raggiunta, con range da 1.9+ a 14.5+ mesi) rispetto al braccio standard (mediana 6.3 mesi, con range 2.1+ a 12.6+).

Il pembrolizumab era associato a una minore incidenza di eventi avversi di ogni grado (73.4% vs. 90.0%), e analogamente il trattamento sperimentale era associato a una minore incidenza di eventi avversi di grado severo (26.6% vs. 53.3%).

I risultati presentati all’ESMO di Copenaghen e pubblicati simultaneamente sul New England Journal of Medicine rappresentano una pagina importante nel progresso del trattamento del NSCLC avanzato. Tranne che nel caso dei pazienti con tumore “oncogene-addicted”, finora nessun farmaco aveva dimostrato un’efficacia maggiore rispetto alla chemioterapia con platino. Per giunta, la miglior efficacia si accompagna ad una minore incidenza di effetti collaterali. Insomma, una pietra miliare nella storia dell’oncologia polmonare, 20 anni dopo la metanalisi che, nel 1995, aveva sancito formalmente la superiorità della chemioterapia con platino come trattamento di prima linea da proporre, in assenza di controindicazioni, ai pazienti con NSCLC avanzato.

Altri studi stanno sperimentando l’efficacia dei nuovi farmaci immunoterapici in combinazione con la chemioterapia, e anche in monoterapia, anche con diversi criteri di inclusione, in particolare in termini di espressione immunoistochimica di PD-L1. Al momento, considerato anche il risultato negativo ottenuto con nivolumab nel medesimo setting, il pembrolizumab è il primo farmaco della classe a porsi come alternativa terapeutica rispetto alla chemioterapia di prima linea, anche se solo nel sottogruppo di pazienti con elevata espressione di PD-L1. Sicuramente vale la pena di rimanere sintonizzati sulla frequenza delle news relative all’immunoterapia nel tumore del polmone: le premesse perché siano ancora tante, e rilevanti, ci sono tutte.

La sostenibilità di questa e di altre novità con farmaci ad alto costo? Senza dubbio è un problema serio, di portata globale. Richard Sullivan, in una sessione del recente congresso ESMO, ha ricordato che, in un sistema economicamente debole, i progressi della scienza e della ricerca rischiano di essere una minaccia, invece che un vantaggio. Meditate, gente, meditate…