Pubblicati sul New England Journal of Medicine i risultati di uno studio di fase II in cui il pembrolizumab dimostra un’elevata attività nel carcinoma a cellule di Merkel, raro ed aggressivo tumore cutaneo.
Nghiem PT, Bhatia S, Lipson EJ, Kudchadkar RR, Miller NJ, Annamalai L, Berry S, Chartash EK, Daud A, Fling SP, Friedlander PA, Kluger HM, Kohrt HE, Lundgren L, Margolin K, Mitchell A, Olencki T, Pardoll DM, Reddy SA, Shantha EM, Sharfman WH, Sharon E, Shemanski LR, Shinohara MM, Sunshine JC, Taube JM, Thompson JA, Townson SM, Yearley JH, Topalian SL, Cheever MA. PD-1 Blockade with Pembrolizumab in Advanced Merkel-Cell Carcinoma. N Engl J Med. 2016 Apr 19. [Epub ahead of print] PubMed PMID: 27093365.
Il carcinoma a cellule di Merkel (precedentemente denominato carcinoma trabecolare) fu descritto per la prima volta da Toker nel 1972; si tratta di un raro e aggressivo carcinoma delle cellule neuroendocrine cutanee.
La sua incidenza è legata all’esposizione alle radiazioni ultraviolette ma, in seguito al riscontro di un notevole aumento dell’incidenza di questa neoplasia tra i soggetti affetti da AIDS, recentemente si è avuta la scoperta di un nuovo poliomavirus (Merkel cell polyomavirus, MCPyV) in grado di agire quale importante agente eziologico.
Tale tumore esprime frequentemente il PD-L1, e le cellule T specifiche per il poliomavirus MCPyV esprimono il PD-1. Tali evidenze rappresentano un ottimo razionale per testare, nei pazienti con tumore a cellule di Merkel, l’attività di pembrolizumab, anticorpo anti-PD-1.
Erano eleggibili per lo studio pazienti con diagnosi di tumore a cellule di Merkel in stadio metastatico o localmente avanzato, non eleggibili per trattamenti locali. I pazienti non dovevano aver ricevuto precedenti trattamenti sistemici per la neoplasia, e dovevano essere in buone condizioni generali (performance status 0 o 1). Pazienti con diagnosi di immunodeficienza, o patologie autoimmuni, erano esclusi dallo studio.
Il pembrolizumab era somministrato in infusione endovenosa, alla dose di 2 mg/kg, ogni 3 settimane.
Lo studio è stato disegnato secondo un classico disegno di Simon a 2 stadi: il primo stadio prevedeva il trattamento di 9 pazienti, e lo studio sarebbe proseguito se si fosse osservata almeno 1 risposta obiettiva nei pazienti trattati al primo stadio.
Obiettivo primario dello studio era la valutazione dell’attività di pembrolizumab in termini di risposte obiettive, valutate secondo i criteri RECIST1.1.
Endpoint secondari erano la descrizione della sopravvivenza libera da progressione (PFS), della sopravvivenza globale (OS), della durata della risposta.
Complessivamente, lo studio ha visto l’inserimento di 26 pazienti, che hanno ricevuto almeno 1 dose di pembrolizumab.
Tra i 25 pazienti valutati (vale a dire quelli con almeno una valutazione durante il trattamento), la percentuale di risposte obiettive è stata pari al 56% (intervallo di confidenza al 95% 35%-76%): nel dettaglio, 4 pazienti hanno avuto una risposta completa, e 10 una risposta parziale.
Dopo un follow-up mediano pari a 33 settimane, 2 dei 14 pazienti rispondenti avevano presentato progressione di malattia.
La durata della risposta, tenendo conto che la maggior parte dei pazienti rispondenti era ancora in risposta al momento dell’analisi, variava da almeno 2.2 mesi ad almeno 9.7 mesi.
La proporzione di pazienti liberi da progressione a 6 mesi è risultata pari al 67% (intervallo di confidenza al 95%, 49-86).
Gli autori presentano anche il dato della risposta obiettiva ottenuta nei sottogruppi di pazienti classificati in base alla positività virale del tumore: 17 pazienti su 26 (65%) avevano un tumore positivo per la presenza del poliomavirus. La proporzione di risposte obiettive è risultata pari al 62% tra i casi positivi al virus, a fronte del 44% di risposte obiettive nei casi negativi.
Con tutti i limiti dei piccoli numeri dello studio, non è stata evidenziata un’associazione significativa tra l’espressione di PD-L1 e l’attività del trattamento con pembrolizumab.
Il trattamento è stato complessivamente ben tollerato, con eventi avversi di grado 3-4 nel 15% dei pazienti.
La pubblicazione del NEJM documenta l’attività di un farmaco anti-PD1 in un tumore raro, che va ad aggiungersi alla lista sempre più lunga delle neoplasie in cui si configura un ruolo per tale famiglia di farmaci.
Un semplice studio di fase II, a singolo braccio, ha quindi documentato una elevata percentuale di pazienti rispondenti in una patologia che invece risponde molto male alle terapie tradizionali.
Dal punto di vista dei tentativi, ovviamente esploratori, di identificare fattori predittivi dell’attività del trattamento, 2 aspetti sembrano particolarmente interessanti: