L’introduzione nella pratica clinica di nuovi farmaci antitumorali è auspicata da oncologi e pazienti. Se alcuni nuovi farmaci ad alto costo si rivelano di dubbio valore, il rischio è che vengano guardati con scetticismo anche i casi di reale innovazione.
Davis Courtney, Naci Huseyin, Gurpinar Evrim, Poplavska Elita, Pinto Ashlyn, Aggarwal Ajay et al. Availability of evidence of benefits on overall survival and quality of life of cancer drugs approved by European Medicines Agency: retrospective cohort study of drug approvals 2009-13 BMJ 2017; 359 :j4530
In occasione del convegno ESMO 2016, in una sessione dedicata al delicato tema della sostenibilità, Richard Sullivan sottolineava che, nei sistemi economicamente deboli, i risultati positivi della ricerca rischiano di rappresentare una minaccia invece che un’opportunità. Da vari anni, la comunità oncologica (e non solo) si interroga sull’elevato costo dei nuovi farmaci che, in tempo di risorse limitate, rischia di mettere a serio rischio la sostenibilità dell’intero sistema sanitario.
Gli autori dello studio pubblicato su BMJ hanno condotto un’analisi degli studi registrativi e post-registrativi condotti con i farmaci oncologici approvati dall’EMA (European Medicines Agency) nel periodo compreso tra il 2009 e il 2013. Ispirandosi al principio che un nuovo trattamento dovrebbe essere approvato per l’impiego nella pratica clinica se produce “living longer and/or living better”, obiettivo era valutare la disponibilità di risultati in termini di prolungamento della sopravvivenza globale e/o miglioramento della qualità di vita.
Nel 2015, l’ESMO ha pubblicato la Magnitude of Clinical Benefit Scale, con l’intento di proporre alla comunità scientifica uno strumento di valutazione del valore dei trattamenti oncologici. La scala è nata per essere applicata ai risultati degli studi comparativi che abbiano dimostrato il beneficio a favore del trattamento sperimentale rispetto allo standard, e cosnente di ottenere un punteggio da 1 a 5, con i punteggi più alti (4 e 5) corrispondenti al maggior valore del trattamento. Gli autori della pubblicazione su BMJ hanno applicato la ESMO Magnitude of Clinical Benefit Scale agli studi registrativi per i quali i dati disponibili consentivano il calcolo.
Nel periodo compreso tra il 2009 ed il 2013, l’EMA ha approvato l’impiego di 48 farmaci oncologici per un totale di 68 indicazioni. In 8 casi, pari al 12% delle indicazioni, i farmaci sono stati approvati sulla base di uno studio a singolo braccio.
Al momento dell’autorizzazione all’impiego nella pratica clinica, 24 studi su 68 (pari al 35%) avevano dimostrato un prolungamento della sopravvivenza globale. La dimensione del beneficio in termini di prolungamento della sopravvivenza globale mediana era compresa tra 1.0 e 5.8 mesi (mediana 2.7 mesi).
Al momento dell’autorizzazione all’impiego nella pratica clinica, 7 studi su 68 (pari al 10%) avevano dimostrato un miglioramento della qualità di vita.
Considerando le 44 indicazioni per le quali al momento dell’autorizzazione all’impiego nella pratica clinica non c’era stata evidenza di beneficio in sopravvivenza globale, nel successivo periodo post-marketing sono stati prodotti dati di prolungamento di sopravvivenza in 3 casi (7%) e di beneficio in qualità di vita in 5 (11%).
Complessivamente, considerando le 68 indicazioni approvate da EMA, con un follow-up mediano pari a 5.4 anni (range compreso tra 3.3 e 8.1 anni), solo in 35 casi (pari al 51%) è stato documentato un significativo miglioramento nella sopravvivenza globale o nella qualità di vita, non provati nei rimanenti 33 casi (49%).
Analizzando i 23 casi di prolungamento della sopravvivenza globale in cui era possibile applicare ai risultati dello studio la ESMO Magnitude of Clinical Benefit Scale, il beneficio è stato giudicato clinicamente significativo in meno della metà dei casi (11 su 23, pari al 48%).
Gli autori dell’articolo sono molto critici nella valutazione dei nuovi farmaci introdotti nella pratica clinica nel periodo compreso tra il 2009 ed il 2013, sottolineando che la maggior parte dei farmaci sono stati approvati dall’EMA senza evidenza di beneficio in sopravvivenza o in qualità di vita. Anche considerando il periodo successivo all’introduzione in commercio, la maggior parte delle indicazioni era rimasta sprovvista delle evidenze relative agli endpoints più “solidi” di beneficio clinico. A completare il “quadro” critico, gli autori sottolineano anche che, quando erano disponibili i dati relativi al beneficio in termini di sopravvivenza globale rispetto al controllo (o al placebo), tali benefici erano spesso “marginali”.
In generale, non è la prima volta che analisi critiche mettono in dubbio il “valore” di molti farmaci recentemente approvati per l’impiego nella pratica clinica. Bisogna sottolineare che l'analisi, pur ispirandosi a criteri di valutazione molto "pragmatici", è abbastanza "grossolana". Peraltro, l’articolo è destinato ad alimentare un grande dibattito nella comunità scientifica, anche perché pubblicato sulle pagine del British Medical Journal, quindi destinato non ad un pubblico di lettori specialisti oncologi, ma ad un pubblico più generale. In una situazione di risorse limitate e di budget da dividere “problematicamente” tra diverse specialità tra loro “in competizione”, le critiche alla rilevanza dei benefici ottenuti con i farmaci oncologici da parte di altri specialisti sono destinate a diventare sempre più frequenti e sempre più aspre.
Molto critico anche l’editoriale a firma di Deborah Cohen, che enfatizza l’inadeguatezza delle evidenze a sostegno di molte approvazioni da parte di EMA. Nell’editoriale, molto critico nei confronti dell’agenzia regolatoria, è citato il pensiero di Richard Sullivan, che sottolinea che non possono essere i singoli medici a fare da “filtro” una volta che il farmaco sia stato approvato e disponibile nella pratica clinica. Il filtro dovrebbe essere fatto dall’agenzia regolatoria.
L’analisi si basa sulla disponibilità dei dati di sopravvivenza globale e di qualità di vita. Non c’è dubbio, da questo punto di vista, che il prolungamento dell’aspettativa di vita e il miglioramento della qualità di vita siano gli endpoints più solidi di beneficio per il paziente, ma ci sono stati farmaci che hanno indubbiamente rappresentato dei grandi progressi pur avendo dimostrato (per vari motivi, tra cui il crossover previsto nel braccio di controllo di molti studi registrativi) solo un vantaggio in sopravvivenza libera da progressione. Accanto a questi, poi, è inutile nasconderlo, ci sono effettivamente anche i farmaci che (specialmente a causa dell’assenza di fattori predittivi) hanno dimostrato un vantaggio mediamente molto modesto.
C’è da dire che l’analisi si riferisce al periodo compreso tra il 2009 ed il 2013, e che negli ultimi anni la consapevolezza della necessità di “alzare la barra” del valore dei trattamenti oncologici è andata aumentando, non solo da parte dell'autorità regolatoria, ma anche da parte della stessa comunità oncologica e delle società scientifiche. Sono del 2015 le prime pubblicazioni di ASCO ed ESMO relative alle scale di valutazione del valore, ed entrambe le scale sono state successivamente aggiornate. Ci sono quindi i presupposti per cui la medesima tipologia di analisi, ripetuta per il quinquennio successivo, possa documentare un trend di miglioramento nella dimensione del beneficio prodotto dai farmaci oncologici di nuova approvazione.