Un’interessante analisi sottolinea che quasi sempre la misurazione della qualità di vita negli studi clinici è limitata ad un certo periodo di tempo e non all’intera storia di malattia. Ma meglio valutarla solo per un periodo, piuttosto che non misurarla affatto.
Haslam A, Herrera-Perez D, Gill J, Prasad V. Patient Experience Captured by Quality-of-Life Measurement in Oncology Clinical Trials. JAMA Netw Open. 2020;3(3):e200363. doi:10.1001/jamanetworkopen.2020.0363
La misurazione della qualità di vita del paziente oncologico, inserito in una sperimentazione clinica, comporta, come noto, la somministrazione periodica di questionari.
E’ chiaro che la proporzione di questionari compilati diminuisce nel corso del tempo, per la progressione di malattia o lo scadimento delle condizioni generali del paziente. In molti casi, è proprio il protocollo di studio a prevedere la somministrazione dei questionari solo per un certo periodo di tempo. E’ alta quindi la probabilità che l’analisi di qualità di vita “fotografi” solo una parte del percorso di malattia dei pazienti, e sono proprio le fasi più delicate (quelle della progressione di malattia, dello scadimento sintomatico, e del periodo che precede la morte) ad essere meno rappresentate nei risultati.
L’analisi appena pubblicata da Haslam e colleghi sulle pagine di JAMA Network Open ha preso in esame la durata dell’analisi della qualità di vita negli studi clinici condotti in oncologia.
Gli autori hanno considerato gli studi clinici pubblicati su 3 prestigiose riviste ad elevato impact factor (Lancet Oncology, Journal of Clinical Oncology, JAMA Oncology), nel periodo compreso tra luglio 2015 e giugno 2018.
Per descrivere l’analisi della QoL in termini di tempistica rispetto al trattamento oggetto di studio, gli autori hanno considerato 5 tempistiche:
Complessivamente, l’analisi ha incluso 149 studi.
La valutazione della qualità di vita ha incluso l’intero periodo di trattamento in 104 studi (pari al 69.8% del totale); ha incluso il periodo di follow-up in 81 articoli (pari al 54.4%), e il periodo successivo alla fine del trattamento sperimentale in 68 articoli (pari al 45.6%).
La qualità di vita è stata misurata fino alla morte solo in 5 dei 149 studi (pari al 3.4%). In particolare, solo in 1 dei 74 studi condotti nel setting di malattia avanzata e metastatica.
La proporzione di studi con un vantaggio in termini di qualità di vita a favore del trattamento sperimentale è stata pari a 42 studi su 81 (51.9%) nel caso degli studi che consideravano il periodo di trattamento e il follow-up, ma solo in 1 su 5 degli studi che avevano misurato la qualità di vita fino al decesso.
Gli autori sottolineano che, nella maggior parte dei casi, gli studi clinici condotti nei pazienti oncologici valutano la qualità di vita durante la somministrazione del trattamento sperimentale, e spesso per un certo periodo durante il follow-up, ma meno frequentemente la qualità di vita viene valutata al momento della progressione, e quasi mai fino alla morte.
Sulla base di questa analisi, gli autori raccomandano di proseguire la valutazione della qualità di vita anche nel periodo successivo alla progressione di malattia, fino al decesso.
Il dato è interessante, anche se a nostro modo di vedere non è l’analisi fino al decesso a fare la qualità della valutazione della qualità di vita in una sperimentazione clinica. Il dato può essere assolutamente utile, ed informativo, anche se l’analisi è limitata al momento dell’interruzione del trattamento (che, almeno nei casi di studi condotti nel setting avanzato) coincide praticamente con la progressione di malattia.
Come abbiamo già avuto modo di dire, l’analisi “incompleta” è sicuramente quella che descrive solo la prima fase di trattamento, spesso semplicemente per “rassicurare” sulla tollerabilità del trattamento rispetto al braccio di controllo.
E’ particolarmente importante, invece, che l’analisi descriva anche la fase tardiva del trattamento (quella corrispondente alla progressione strumentale di malattia e alla relativa interruzione della terapia), allo scopo di descrivere se l’eventuale vantaggio del trattamento sperimentale rispetto al controllo è solo strumentale, o se si accompagna ad un concreto beneficio clinico. Tale informazione può essere molto utile per meglio “pesare” il valore clinico di un vantaggio in termini di sopravvivenza libera da progressione.
Con il limite suddetto, l’articolo di Haslam e colleghi ha il merito di far discutere di patient-reported outcomes e qualità di vita. Meglio valutare la qualità di vita con qualche limite metodologico, piuttosto che non valutarla affatto.