Come la coesistenza di una patologia oncologica può influenzare il decorso clinico di pazienti affetti da COVID-19. Uno studio condotto nella città di New York offre qualche spunto di riflessione.
Miyashita H, et al. Do Patients with Cancer Have a Poorer Prognosis of COVID-19? An Experience in New York City. Ann Oncol 2020 [Epub ahead of print]
Di pari passo con la diffusione del virus Sars-CoV-2 si è diffusa la preoccupazione riguardo agli effetti clinici di COVID-19 su determinate categorie di pazienti considerate più fragili, e fra queste, quella dei pazienti oncologici.
Uno studio retrospettivo condotto in tre ospedali di Whuan, in Cina, su 28 pazienti con infezione da nuovo coronavirus riportava un tasso di letalità particolarmente elevato (28.6%). Tuttavia, è stato subito sottolineato come i risultati non potessero essere trasferiti ad altri Paesi con situazioni epidemiologiche e organizzazioni sanitarie differenti.
Uno studio ha quindi cercato di valutare l’impatto di una pregressa diagnosi di cancro sulla prognosi della malattia COVID-19 analizzando le cartelle elettroniche del Mount Sinai Health System (MSHS) nella città di New York.
Sono state riviste le cartelle tra il primo marzo e il 6 aprile 2020 da cui sono state ricavate informazioni su genere, età, comorbilità, intubazione, mortalità di pazienti risultati positivi al tampone per il virus (test con RT PCR).
Su un totale di 5688 pazienti con COVID-19, 334 (6 %) avevano una diagnosi di cancro, rispettivamente mammario (N=57), prostatico (N=56), polmonare (N=23), uroteliale (N=18) e colorettale (N=16).
L’analisi senza aggiustamento per età ha evidenziato che i pazienti con cancro sono stati intubati più frequentemente dei pazienti senza cancro (rischio relativo 1.89, 95% IC 1.37-2.61) ma il tasso di morte non è risultato significativamente diverso tra i due gruppi (con vs. senza diagnosi di cancro).
L’analisi stratificata per età ha evidenziato una maggiore probabilità di intubazione fra i pazienti oncologici di età compresa fra i 66 e i gli 80 anni (RR 1.76, 95 % IC [1.15 – 2.70). Viceversa, nessuna differenza nel rischio di intubazione è emersa nelle altre fasce di età.
Inoltre, pazienti di età < 50 anni hanno mostrato un tasso di letalità significativamente più alto
(3 pazienti su 53 vs. 23 pazienti su 2035; RR 5.01, 95 % IC 1.55 –16.2). Tuttavia, i tassi di letalità da COVID-19 nei pazienti oncologici di età > 50 anni sono risultati più bassi, sebbene il dato non sia statisticamente significativo, rispetto a quelli di pazienti di pari età ma senza diagnosi di cancro.
Lo studio, pur ammettendo i limiti di una casistica eterogenea per tipo tumorale e per stadio, prova fornire qualche spunto di riflessione sui risvolti che una pregressa diagnosi di cancro può generare nel decorso clinico di pazienti con COVID-19.
Dal momento che il danno polmonare associato alle citochine è associato a un’evoluzione clinica più grave, i pazienti oncologici potrebbero avere manifestazioni cliniche più indolenti in ragione della compromissione del sistema immunitario che mitigherebbe la risposta infiammatoria. Questo potrebbe spiegare l’assenza di differenze nei tassi di letalità quando l’analisi non è stratificata per età.
Per contro, fra i pazienti di età inferiore a 50 anni, dove la letalità da COVID-19 è generalmente bassa, la fragilità relativa indotta dalla concomitante patologia oncologica potrebbe pesare nel conferire un maggior rischio di morte.
Lo studio, trattandosi di una analisi per dati aggregati, non ha potuto approfondire nei dettagli il nesso causale tra caratteristiche cliniche e rischio di intubazione o morte. Tuttavia, la numerosità del campione ha consentito le valutazioni per età, correggendo così per uno dei fattori prognostici principali.