Miscellanea
Giovedì, 23 Gennaio 2020

Cannabinoidi e cancro: da potenziale rischio a possibile speranza?

A cura di Giuseppe Aprile

La cannabis può curare il cancro? E' questo il titolo di un provocatorio viewpoint pubblicato su JAMA Oncol. In effetti, evidenze e punti di vista sulla sostanza sembrano essere radicalmente cambiati. 

Abrams DI, Guzmán M. Can Cannabis Cure Cancer? JAMA Oncol. 2020 Jan 16

Solo pochi anni fa dati epidemiologici e clinici suggerivano che l'uso di cannabis potesse incrementare il rischio di insorgenza e la progressione di alcune neoplasie, inclusi i tumori polmonari, quelli del distretto cervicofacciale e i tumori testicolari nonseminomatosi [Ghasemiesfe M, et al. Association Between Marijuana Use and Risk of Cancer: A Systematic Review and Meta-analysis. JAMA Netw Open 2019]

Nell'ultimo quinquennio, invece, la posizione sembra mutata e numerose evidenze [sebbene la maggior parte di esse siano di modesto livello] sembrano non solo smentire tale rischio, ma addirittura suggerirebbero che oli o tinture ad alta concentrazione di tetraidrocannabinolo [THC, dronabinolo] o di cannabidiolo [CBD] possano addirittura modulare la crescita cellulare tramite il legame agli specifici recettori CB1 e CB2 presenti sulla superficie di cellule tumorali. Su modelli sperimentali, tale legame avrebbe come effetto una induzione proapoptotica, il blocco della proliferazione, la riduzione della neoamgiogenesi e un effetto inibitorio sulla potenzialità migratoria e invasiva delle cellule alterate.

Inoltre, in modelli murini l'effetto dei cannabinoidi pare sinergico a quello dei farmaci antiblastici classici.

In Italia, la normativa si basa sul testo unico sulle droghe 309 del 1990 e sul DM del 2015 che prevede l'indicazione al trattamento medico con derivati della cannabis per "dolore cronico e quello associato a sclerosi multipla oltre che a lesioni del midollo spinale; alla nausea e vomito causati da chemioterapia, radioterapia, terapie per HIV; come stimolante dell’appetito nella cachessia, anoressia, perdita dell’appetito in pazienti oncologici o affetti da AIDS e nell’anoressia nervosa; l’effetto ipotensivo nel glaucoma; la riduzione dei movimenti involontari del corpo e facciali nella sindrome di Gilles de la Tourette". In particolare, il prodotto cannabis FM-2 (contenente THC 5% – 8% e CBD 7,5% – 12%), è stata la prima sostanza attiva a base di cannabis prodotta in Italia in conformità alle direttive europee in materia di medicinali su processo produttivo depositato e controllato, in uno stabilimento farmaceutico autorizzata dall’AIFA e la cui distribuzione è autorizzata dall’Organismo statale per la cannabis presso il Ministero della salute. Nonostante questo apparato normativo, ci sono anche evidenze che ridurrebbero l'entusiasmo sul potere antalgico della formulazione [Boland EG, et al. Cannabinoids for adult cancer-related pain: systematic review and meta-analysis. BMJ Support Palliat Care 2020]

Per la natura dell'articolo, non vi è disegno statistico.

La ricerca oncologica ha concentrato i trial riguardanti l'uso terapeutico della cannabis e dei suoi derivati soprattutto nell'ambito delle neoplasie maligne SNC, soprattutto per l'elevata espressione di recettori CB1 a livello encefalico [sebbene i recettori CB1 e CB2 siano espressi anche in altri tessuti].

In un recente studio randomizzato di fase II - ancora non pubblicato in forma estesa - la cominazione del chemioterapico standard temozolomide e di un estratto orosolubile di cannabis [nabiximols] impattava favorevolmente sulla sopravvivenza overall di pazienti con glioblastoma multiforme [mOS 550 giorni vs 369; OS a 1 anno 83% vs 56%, p=0.04). Altri studi di fase II con una maggiore numerosità di pazienti sono attualmente in corso.

Superate le questioni [poco scientifiche] riguardanti il florovivaismo della canapa e le problematiche legislative sulla cannabis light e sulla dose per uso personale, forse il merito dell'articolo scientifico pubblicato su JAMA è quello di avere una forza propositiva.

La proposta di sgombrare il campo da pregiudizi e da visioni poco scientifiche. La proposta di disegnare trial clinici innovativi per verificare se i derivati della cannabis non rappresentino solo un buon trattamento con indicazioni specifiche per l'ottimale controllo antalgico e della sindrome anoressia/cachessia, ma anche possano rivelarsi molecole con efetto antitumorale.

Certamente, va usata cautela: non solo il CBD è un potente inibitore citocromiale che potrebbe aumentare le concentrazioni plasmatiche di altrei farmaci e indurre tossicità, ma gli utilizzatori abituali di cannabinoidi potrebbero anche avere un minor beneficio dall'uso dell'immunoterapia [Taha T, et al. Oncologist 2019]. In ogni caso, sebbene i dati preclinici su modelli animali siano molto interessanti, la ricerca clinica futura dovrà testare i possibili effetti antitumorali diretti della molecola in pazienti con differenti patologie, inclusi in trial clinici opportunamente disegnati.