Lo studio SWOG S0715 era stato condotto per dimostrare il beneficio dell’acetilcarnitina nel ridurre la neuropatia provocata dalla chemioterapia: purtroppo la neuropatia rimane prolungata, e l’acetilcarnitina produce addirittura un effetto dannoso, opposto rispetto all’atteso.
Dawn L Hershman, Joseph M Unger, Katherine D Crew, Cathee Till, Heather Greenlee, Lori M Minasian, Carol M Moinpour, Danika L Lew, Louis Fehrenbacher, James L Wade, Siu-Fun Wong, Michael J Fisch, N Lynn Henry, Kathy S Albain; Two-Year Trends of Taxane-Induced Neuropathy in Women Enrolled in a Randomized Trial of Acetyl-L-Carnitine (SWOG S0715), JNCI: Journal of the National Cancer Institute, , djx259, https://doi.org/10.1093/jnci/djx259
La neuropatia periferica indotta dalla chemioterapia (Chemotherapy-induced peripheral neuropathy, CIPN) è particolarmente commune nei pazienti che ricevono trattamento con taxani (paclitaxel, docetaxel), come le donne con carcinoma della mammella candidate a ricevere trattamento adiuvante con schemi che includano tali farmaci.
Tale tossicità può provocare un impatto particolarmente negativo sulle attività quotidiane e sulla qualità di vita, e si caratterizza spesso per una persistenza particolarmente lunga, anche molti mesi dopo il termine del trattamento chemioterapico.
Sulla base di dati preliminari che suggerivano un importante ruolo come neuro-protettore, l’acetil-L-carnitina è stata studiata in uno studio di fase III allo scopo di valutarne l’efficacia nella riduzione della neuropatia periferica indotta da chemioterapia.
Nel dettaglio, lo studio S0715 era uno studio multicentrico randomizzato, in doppio cieco, che valutava l’efficacia di acetilcarnitina (alla dose di 1000 mg tre volte al giorno) rispetto a placebo, somministrati per una durata di 24 settimane, in donne con carcinoma della mammella che iniziassero una chemioterapia adiuvante comprendente taxani.
I risultati dello studio, già pubblicati, avevano già indicato, sorprendentemente, un effetto detrimentale (invece che protettivo) dell’acetilcarnitina rispetto alla neurotossicità. L’articolo appena pubblicato sul Journal of the National Cancer Institute riporta i risultati completi a lungo termine, concentrandosi in particolare sulla tossicità residua a 2 anni dall’inizio del trattamento.
La neuropatia periferica indotta da chemioterapia veniva misurata mediante la sottoscala NTX dedicate alla neurotossicità (consistente di 11 domande) della scala FACT-Taxane (lo strumento di qualità di vita specificamente dedicato ai pazienti in trattamento con taxani).
Lo studio prevedeva la somministrazione del questionario al basale, dopo 12, 24, 26, 52 e 104 settimane.
I punteggi dei due gruppi di trattamento, nel corso dei 2 anni di osservazione, sono stati confrontati mediante modello misto lineare per dati ripetuti. Sono stati anche analizzati i punteggi ai singoli tempi, in un modello di regressione lineare che includeva i fattori di stratificazione e il punteggio basale come covariata.
L’analisi è basata sui dati relativi a 409 pazienti.
La riduzione nel punteggio NTX (corrispondente a un peggioramento della neuropatia) è risultata maggiore nel gruppo di pazienti assegnate al trattamento con acetilcarnitina rispetto al gruppo trattato con placebo (differenza pari a -1.39 punti, intervallo di confidenza al 95% da -2.48 a -0.30).
Le differenze, sfavorevoli per il gruppo trattato con acetilcarnitina, sono risultate particolarmente marcate:
In entrambi i gruppi di trattamento, i punteggi NTX medi a 104 settimane (2 anni) dall’inizio del trattamento erano significativamente peggiori rispetto al punteggio basale (p<0.001 in entrambi i gruppi).
Dopo 104 settimane (2 anni), la proporzione di pazienti che riportava una diminuzione (peggioramento) del punteggio rispetto al basale di almeno 5 punti è risultata pari al 39.5% nel braccio trattato con acetilcarnitina rispetto al 34.4% nel braccio trattato con placebo.
L’aggiornamento dello studio S0715 ci conferma innanzitutto che la neuropatia periferica da taxani è una tossicità particolarmente fastidiosa per la qualità di vita dei pazienti, non solo nell’immediato ma anche a distanza di tempo: con disappunto, gli autori sottolineano che, a distanza di 2 anni, il punteggio medio della neurotossicità rimaneva significativamente peggiore, rispetto al basale, in entrambi i bracci dello studio.
Il disappunto è ancora maggiore se consideriamo che l’update dello studio conferma il risultato opposto rispetto a quanto ipotizzato al momento del disegno e della conduzione dello studio, vale a dire che l’acetilcarnitina, invece di svolgere un effetto protettivo o comunque migliorativo della tossicità, è addirittura associate a una peggiore neuropatia rispetto al placebo.
Questi risultati hanno almeno due implicazioni importanti:
1) L’identificazione di rimedi efficaci per la profilassi e il trattamento della neuropatia indotta da chemioterapia rimane un argomento di grande interesse per ulteriori ricerche.
2) Il risultato dello studio spinge ad un’importante riflessione, ripresa anche nell’editoriale che accompagna la pubblicazione. Alcune sostanze che, sulla base di un razionale a volte anche apparentemente “solido”, vengono somministrate ai pazienti per ridurre gli effetti collaterali delle terapie o in generale come terapia di supporto, potrebbero in realtà essere dannose e peggiorare la qualità di vita, come è appunto capitato con l’acetilcarnitina. Questo impone massima cautela, da parte dei medici e soprattutto dei pazienti, nel ricorrere a terapie supplementari, integratori, etc. La loro efficacia andrebbe sempre verificata in studi clinici di buona qualità, prima di raccomandarne l’impiego dandone spesso per scontata l’innocuità.