Oltre il 10% dei pazienti operati per tumore continua a usare oppioidi anche un anno dopo la chirurgia radicale. L'utilizzo cronico di antidolorifici a causa iatrogena - secondo gli autori - è un fenomeno pericoloso e sottostimato.
Lee JSJ et al. New Persistent Opioid Use Among Patients With Cancer After Curative-Intent Surgery. J Clin Oncol 2017, epub ahead of print Oct 19th
La letteratura ci informa che il 5-8% di pazienti operati per problematica non oncologica continua l'assunzione di oppioidi per un lungo periodo di tempo dopo l'atto chirurgico. Tuttavia non è noto se questa proporzione sia simile in pazienti operati per neoplasia né se esistano fattori di rischio per questa "dipendenza", in un contesto sociale nel quale il fenomeno del mal uso degli antidolorifici magiori non è trascurabile.
Inoltre, differenti ragioni rendono i pazienti operati radicalmente per neoplasia maligna a maggior rischio di abuso di oppioidi: il distress per la diagnosi, la necessità di ripetute manovre mediche invasive, il dolore fisico e psicologico provocato dai trattamenti adiuvanti e - non ultimo - lo scarso coordinamento dei prescrittori. Da qualsiasi punto lo si guardi, il fenomeno genera nuovi utilizzatori cronici di oppioidi, con i rischi connessi a questa situazione.
Lo studio si propone di valutare il fenomeno, descrivendone l'entità e cercando di determinarne i fattori di rischio al patient-level. Per la analisi sono stati utilizzati dati di pazienti estratti da database assicurativi; sono stati inclusi pazienti con età maggiore a 18 anni radicalmente operati per melanoma, tumore mammario, gastrointestinale o polmonare. Gli outcome primari dello studio erano il nuovo uso di oppioidi a 90 e 180 giorni dopo l'atto chirurgico e l'utilizzo quotidiano di oppioidi a un anno dalla chhirurgia (valutato mensilmente). I fattori di rischio che facilitavano l'uso cronico erano studiati con una regressione logistica.
Da una iniziale coorte di oltre 420.000 pazienti operati radicalmente tra il 2010 e il 2014 per neoplasia maligna, ne sono stati inclusi nella analisi 68.000, il 58% dei quali non erano utilizzatori di oppioidi prima della chirurgia (il 23% circa erano utilizzatori occasionali, il 18% circa utilizzatori abituali). Il 60% dei pazienti inclusi avevano neoplasia mammaria.
Tra i pazienti che non utilizzavano oppioidi prima della chirurgia (oppioidi-naive) il rischio di uso persistente era 10.4% (95%CI 10.1%-10.7%). In questi pazienti, la dose diaria assunta di oppioidi era molto simile a quella assunta dagli utilizzatori cronici.
Il trattamento adiuvante era l'unico fattore che aumentava il rischio di uso cronico di oppioidi per ogni patologia considerata: e mediamente lo raddoppiava, facendolo aumentare da 7-11% in chi non riceveva trattamento medico postoperatorio a 15-21% in chi lo riceveva.
I messaggi dello studio sono chiari:
1) il 10% dei pazienti radicalmente operati per neoplasia diventa utilizzatore cronico di oppioidi.
2) Ricevere un trattamento chemioterapico adiuvante aumenta sensibilmente il rischio del fenomeno, ma non spiega completamente la situazione.
Sebbene abbia il grande pregio di portare l'attenzione scientifica internazionale su un problema poco indagato, la ricerca ha tuttavia dei limiti: si basa su pazienti con una assicurazione privata; non sono considerate le complicanze postoperatorie; non valuta l'utilizzo di farmaci non oppioidi e manca di una analisi dettagliata dei trattamenti ricevuti dopo la chirurgia radicale (alcuni potrebbero dare mialgie o neurotossicità, ad esempio). Rimane inoltre come spunto la necessità di una migliore integrazione tra i possibili prescrittori, creando colaborazione e percorsi di continuità terapeutica tra ospedale e territorio.