Un interessante studio spagnolo descrive la consapevolezza della prognosi e dell’intento della terapia da parte di pazienti oncologici dopo il colloquio sulla strategia di prima linea. I risultati fanno molto riflettere, offrendo spunti per considerazioni etiche e psicologiche.
Alberto Carmona-Bayonas, Adán Rodriguez-Gonzalez, Teresa García-García, Verónica Velasco-Durantez, Raquel Hernández-San Gil, Patricia Cruz-Castellanos, Ana Fernandez-Montes, Alfredo Castillo-Trujillo, Inmaculada Ballester, Jacobo Rogado, Caterina Calderon, Paula Jimenez-Fonseca, Can Oncologists Prompt Patient Prognostic Awareness to Enhance Decision-Making? Data From the Neoetic Study, The Oncologist, 2023;, oyad100, https://doi.org/10.1093/oncolo/oyad100
In letteratura esistono molti studi che hanno esplorato la consapevolezza della prognosi da parte dei pazienti oncologici, documentando che spesso i pazienti candidati a ricevere un trattamento dall’intento non guaritivo ma di controllo della malattia non hanno del tutto chiaro l’intento del trattamento.
Negli ultimi anni, abbiamo assistito a notevoli progressi nel trattamento di numerosi tipi di tumore avanzato, anche grazie alla disponibilità di nuovi farmaci (come l’immunoterapia o i farmaci a bersaglio molecolare) rispetto alla “tradizionale” chemioterapia. Peraltro, in molti casi l’intento del trattamento rimane realisticamente il controllo della malattia e il vantaggio mediamente atteso in termini di prolungamento di sopravvivenza globale può essere classificato come “modesto” o comunque non enorme.
In tale contesto, si inseriscono gli interessanti risultati di uno studio condotto in Spagna e recentemente pubblicato su The Oncologist. Gli autori si sono posti il problema di indagare il “dilemma etico” (sono parole loro) che spesso si pone all’oncologo nel momento del primo colloquio con il paziente, quello nel quale bisogna da una parte offrire informazioni complete sulla prognosi e sul beneficio atteso dal trattamento, per metterlo nelle condizioni migliori di valutare la proposta terapeutica, e dall’altra evitare che informazioni troppo “pesanti” possano causare un danno psicologico ed essere controproducenti.
Per indagare questi aspetti, lo studio ha incluso 550 pazienti affetti da un tumore avanzato, che avessero affrontato un primo colloquio con l’oncologo, vale a dire il colloquio nel quale era attesa la discussione della situazione di malattia e la proposta terapeutica, inclusa l’eventuale discussione dell’intento del trattamento e del beneficio mediamente atteso.
Per raccogliere il punto di vista del paziente, lo studio si è basato sull’impiego di vari patient-reported outcome measures (PROMs), che esploravano le sue preferenze, le aspettative, la consapevolezza della prognosi, la speranza sull’andamento delle cure e della malattia, aspetti psicologici e altri aspetti legati al trattamento. In aggiunta, anche i medici hanno compilato alcuni questionari incentrati sulla comunicazione della prognosi e dell’intento del trattamento proposto.
Obiettivo principale dell’analisi era quello di descrivere la prevalenza di una inaccurata consapevolezza prognostica nei pazienti oncologici DOPO il colloquio con il medico, tentare di descrivere alcuni fattori associati a tale inaccurata consapevolezza e le conseguenze, in termini di ansia, depressione, qualità di vita e motivazione a ricevere la terapia.
L’analisi è stata condotta su 550 pazienti affetti da neoplasia in stadio avanzato, inseriti nello studio tra il 2020 e il 2021. Più di un terzo dei pazienti erano affetti da tumore del polmone, e molto rappresentati erano anche i tumori del colon-retto e i tumori del tratto gastroenterico superiore. Poco più del 20% dei pazienti era candidato a trattamento con immunoterapia, e poco più del 20% a trattamento con farmaci a bersaglio molecolare, da soli o in combinazione con la chemioterapia. Oltre il 70% dei pazienti aveva metastasi a distanza non resecabili.
La prevalenza di consapevolezza prognostica inaccurata è risultata molto elevata (il 74% dei rispondenti ha affermato che il trattamento potesse ottenere la cura del tumore, e solo il 18% dei rispondenti ha dimostrato una accurata consapevolezza della propria prognosi).
Nella grande maggioranza dei casi, il colloquio sulla prognosi ea stato qualitativo, senza dati numerici e senza nemmeno alludere alla morte. Solo in una minoranza dei casi (poco più del 10%) il colloquio aveva compreso aspetti quantitativi, quasi sempre approssimativi e quasi mai dettagliati. Nei casi in cui il medico si manteneva vago sulla prognosi durante il colloquio, senza neanche nominare il concetto di morte, è risultata significativamente più elevata la probabilità che il paziente avesse poca consapevolezza della prognosi realistica (odds ratio 2.54; intervallo di confidenza al 95% 1.47 - 4.37, p = 0.006).
Il 68% dei pazienti ha dichiarato di accettare la proposta di terapia di modesta efficacia, vale a dire di terapie mediamente associate a un prolungamento della sopravvivenza inferiore a 6 mesi.
Una minore consapevolezza sulla propria prognosi è risultata associata a maggiore interesse in trattamenti di modesta efficacia (Odds Ratio 2.27; intervallo di confidenza al 95% 1.31 - 3.84; p = 0.017).
D’altra parte, una più accurata comprensione della propria prognosi è risultata associata a un maggior livello di ansia (Odds Ratio 1.63; intervallo di confidenza 1.01 - 2.65; p = 0.038), un maggior livello di depressione (Odds Ratio 1.96; intervallo di confidenza 1.23 - 3.11; p = 0.020), una minore qualità di vita (Odds Ratio 0.47; intervallo di confidenza 0.29 - 0.75; p = 0.011).
Gli autori sottolineano che, in base ai risultati osservati, una percentuale elevata di pazienti, dopo il colloquio con l’oncologo, dimostra di non aver compreso che l’intento del trattamento antitumorale proposto non è guaritivo.
La percentuale di casi realisticamente non guaribili che dimostrava di avere compreso questo concetto è risultata sorprendentemente bassa. Non a caso gli autori incentrano la discussione del lavoro proprio su questo punto, enfatizzando la necessità di un dibattito sulla modalità di comunicazione dei pazienti. E’ possibile che l’entusiasmo con il quale, ovviamente in buona fede, si enfatizzano i progressi delle terapie, abbia fatto addirittura aumentare negli anni il rischio di una comunicazione inaccurata tra oncologo e paziente sull’intento della terapia e sulle realistiche aspettative?
Dal lavoro dei colleghi spagnoli emerge anche che molto spesso la discussione sugli aspetti prognostici si mantiene su termini vaghi, non solo senza fornire dati numerici espliciti relativi all’outcome mediamente atteso (e questo è a nostro giudizio comprensibile e in linea con quanto accade anche nella maggior parte delle realtà italiane) ma senza neanche impiegare la parola “morte” e discutere esplicitamente il fatto che, realisticamente, quel paziente morirà di quella malattia.
Naturalmente, l’analisi spagnola ha documentato che fornire informazioni più esplicite nel colloquio si associa a una maggiore consapevolezza prognostica, ma non è sicuramente quello l’unico fattore, perché anche tra i pazienti che hanno ricevuto un’informazione esplicita ci sono comunque molti che sovrastimano l’efficacia e fraintendono l’intento del trattamento. D’altra parte, su questo possono pesare aspetti emotivi, psicologici e spirituali del tutto comprensibili.
Una minore accuratezza del colloquio sugli aspetti prognostici aumenta la motivazione dei pazienti ad accettare terapie di “modesta” efficacia. Ovviamente, la soglia identificata dagli autori per classificare le terapie sulla base del livello di efficacia è assolutamente arbitraria e discutibile, però il risultato non sorprende: i dati supportano il sospetto che in alcune situazioni di malattia alcuni pazienti, se adeguatamente informati sull’obiettivo clinico realisticamente atteso con la terapia, probabilmente rifiuterebbero il trattamento (specialmente se tossico) più spesso di quanto non accada nella routine.
Aumentare l’accuratezza del colloquio sugli aspetti prognostici e sull’intento del trattamento, d’altra parte, si associa a un aumento dell’ansia, della depressione e a una ridotta qualità di vita. Sono le ripercussioni psicologiche negative che gli autori mettono sull’altro piatto della bilancia rispetto alla miglior consapevolezza nelle decisioni terapeutiche.
In definitiva, quello spagnolo è un lavoro complesso da sintetizzare e ricco di spunti di riflessione. L’oncologia del 2023 è progresso, innovazione, entusiasmo e fiducia nel futuro, ma senza perdere di vista gli aspetti umani, i limiti delle terapie, la possibilità dell’insuccesso e la crucialità della comunicazione con il paziente.