Miscellanea
Sabato, 25 Gennaio 2020

Condurre gli studi clinici in cieco ne migliora la qualità?

A cura di Massimo Di Maio

La cecità (blinding) è considerata una garanzia di qualità degli studi randomizzati, ma con un notevole aumento della complessità e dei costi. Peraltro, una provocatoria analisi suggerisce che condurre lo studio in aperto o in cieco non cambi il risultato finale. Ne vale la pena?
Moustgaard Helene, Clayton Gemma L, Jones Hayley E, Boutron Isabelle, Jørgensen Lars, Laursen David L T et al. Impact of blinding on estimated treatment effects in randomised clinical trials: meta-epidemiological study BMJ 2020; 368 :l6802

Molti studi randomizzati, sia in oncologia che in altri ambiti, sono condotti in cieco, vale a dire mascherando il trattamento assegnato al paziente e/o allo sperimentatore e/o all’osservatore esterno responsabile della valutazione dell’outcome (es. radiologo incaricato di valutare le TAC per definire la risposta ottenuta con il trattamento).

Comunemente si ritiene che essere in cieco rispetto al trattamento assegnato garantisca l’obiettività della valutazione, evitando di sovrastimare l’effetto del trattamento sperimentale. Disegnare uno studio in cieco, peraltro, comporta un notevole aumento della complessità del suo disegno, come ben sa chi conduce sperimentazioni. Oltre che ingenerare spesso perplessità nel paziente a cui si propone lo studio, la presenza del mascheramento e del placebo rende più complessa la conduzione dello studio, nonché i suoi costi.

Ma tale complessità metodologica corrisponde veramente a un aumento della qualità del risultato? Se lo sono chiesti gli autori di una provocatoria analisi recentemente pubblicata da BMJ.

Obiettivo dell’analisi era quello di studiare l’impatto della conduzione in cieco dello studio sulla stima dell’effetto del trattamento.

Gli autori hanno scelto di confrontare la stima dell’effetto del trattamento sperimentale in metanalisi che comprendessero sia studi in cieco che studi in aperto, sul medesimo quesito. Hanno effettuato la ricerca delle metanalisi eleggibili consultando il Cochrane Database of Systematic Reviews (2013-14).

Consultando le pubblicazioni, ed eventualmente contattando direttamente gli autori, è stata raccolta l’informazione relativa alla presenza di placebo / blinding nello studio.

Allo scopo di paragonare la stima dell’effetto del trattamento tra gli studi condotti in aperto e gli studi condotti in cieco, gli autori hanno adottato il rapporto degli odds ratio (ratio of odds ratios, ROR). Gli autori hanno anche provato a misurare l’eventuale incremento dell’eterogeneità tra gli studi, per gli studi condotti in aperto rispetto agli studi condotti in cieco.
In pratica, un rapporto tra gli odds ratio minore di 1 indica una stima dell’effetto del trattamento sperimentale maggiore negli studi condotti in aperto rispetto agli studi condotti in cieco.

L’analisi ha visto l’inclusione di 142 metanalisi, per un totale di 1153 sperimentazioni cliniche.

Il rapporto degli odds ratio tra gli studi condotti in cieco e gli studi condotti in aperto per i pazienti è risultato pari a 0.91 (intervallo di confidenza al 95% compreso tra 0.61 e 1.34) in 18 metanalisi in cui l’outcome era rappresentato da un patient-reported outcome, e pari a 0.98 (intervallo di confidenza 0.69 – 1.39) in 14 metanalisi in cui l’outcome era valutato da osservatori in cieco rispetto al trattamento assegnato.

Il rapporto degli odds ratio tra gli studi condotti in cieco e gli studi condotti in aperto per gli sperimentatori è risultato pari a 1.01 (intervallo di confidenza al 95% compreso tra 0.84 e 1.19) in 29 metanalisi in cui l’outcome era rappresentato da decisioni prese dagli sperimentatori, e pari a 0.97 (intervallo di confidenza 0.64 – 1.45) in 13 metanalisi in cui l’outcome era valutato da pazienti o osservatori in cieco rispetto al trattamento assegnato.

Il rapporto degli odds ratio tra gli studi condotti in cieco e gli studi condotti in aperto per gli osservatori è risultato pari a 1.01 (intervallo di confidenza al 95% compreso tra 0.86 e 1.18) in 46 metanalisi in cui l’outcome era riportato dagli osservatori.

In 74 metanalisi valutabili, il rapporto degli odds ratio tra studi non condotti in doppio cieco e studi condotti in doppio cieco è risultato pari a 1.02 (intervallo di confidenza al 95% compreso tra 0.90 e 1.13).

Sulla base dei risultati sopra riportati, gli autori sottolineano di non aver prodotto nessuna evidenza di differenze nella stima degli effetti tra gli studi condotti in aperto e gli studi condotti, sul medesimo quesito, prevedendo la cecità dei pazienti, degli sperimentatori o di chi era deputato alla valutazione dell’outcome.

La dimostrazione di una differenza nel risultato dei 2 tipi di studio, e in particolare la dimostrazione di un effetto maggiore a favore del trattamento sperimentale negli studi condotti in aperto rispetto agli studi condotti in cieco, avrebbe rappresentato la conferma dell’utilità metodologica del placebo, confermando che la valutazione del risultato può essere falsata (anche in perfetta buona fede) dal pregiudizio indotto dalla conoscenza del trattamento effettivamente somministrato al paziente.

Invece, il risultato non ha evidenziato grosse differenze tra i gruppi, e gli autori stessi suggeriscono che l’impiego del placebo potrebbe essere meno importante di quanto spesso ritenuto.

Naturalmente, applicare l’evidenza di questa analisi, basata su determinati tipi di patologie e di trattamenti, nonché di outcome, ad altri tipi di patologie, trattamenti e outcome è tutt’altro che scontato. A tale proposito vale la pena di sottolineare agli amici di Oncotwitting che non si tratta di una metanalisi di studi condotti in ambito oncologico, ma di studi volutamente eterogenei, condotti su qualunque quesito clinico.

Correttamente, gli autori invitano a produrre ulteriori evidenze su questo tema, ribadendo che, in attesa di conferme o smentite, dovrebbe essere mantenuto l’impiego del placebo nei contesti in cui è oggi considerato garanzia di qualità della conduzione dello studio.