Un nuovo studio sui CUP - tumori a primitivo non noto - per chiarire se una terapia sito-specifica indirizzata sulla base del profilo di espressione genica porti a risultati migliori dell'aspecifico carboplatino-taxolo.
Hayashi H, et al. Randomized Phase II Trial Comparing Site-Specific Treatment Based on Gene Expression Profiling With Carboplatin and Paclitaxel for Patients With Cancer of Unknown Primary Site. J Clin Oncol 2019; epub Jan 17th
Il trattamento ottimale dei CUP - tumori la cui origine non è individuata nonostante un accurato work-up diagnostico - rimane un punto dolente nella moderna oncologia: queste neoplasie insorgono di solito tra i 50 e i 70 anni, hanno pari incidenza nei due generi e hanno di norma prognosi ben poco favorevole, nonostante siano approcciati con strategia chirurgica, medica o radioterapica.
Tra gli schemi di combinazione, gli antiblastici più utilizzati sono i platinanti, i taxani e il 5-Fluorouracile, anche se molti schemi hanno visto l'utilizzo nella fase avanzata della malattia.
Recentemente, lo studio della neoplasia con il profilo di espressione genica, ha anche contribuito a una migliore definizione anatomica della neoplasia: un trial nordamericano pubblicato pochi anni fa sempbarva promettente in questo aspetto specifico (Hainsworth, et al. J Clin Oncol 2013) e tale approccio è stato proposto come parte integrante del percorso diagnostico (Santos MTD, et al An integrated tool for determining the primary origin site of metastatic tumours. J Clin Pathol 2018).
Lo studio in questione, condotto in Giappone, è stato disegnato come un fase II randomizzato nel quale 130 pazienti sono stati randomizzati a ricevere terapia sito-specifica ovvero schema standard (platino e taxolo) dopo il profiling molecolare della neoplasia. Endpoint primario dello studio era aumentare il rate di sopravvivenza a un anno dal 35% - dato che ragionevolmente ci si aspetta dal trattamento con chemioterapia standard - al 50%.
Al netto del dato che il tumore a origine non nota non sia molto frequente, lo studio ha avuto un accrual particolarmente lungo, durato circa 8 anni (2008-2015), il che non rende semplice l'interpretazione finale dei dati per possibile differente uso di linee successive e terapie di supporto. Inoltre, va notato che circa il 15% dei pazienti randomizzati non sono poi stati inclusi nell'analisi finale di efficacia, che ha valutato solo 101 pazienti.
Le sedi anatomiche di neoplasia maligna più frequentemente predette in base al gene-expression profiling sono state il pancreas (21%), lo stomaco (21%) e i linfonodi (20%).
Non ci sono state differenze sostanziali in termini di chance di sopravvivenza a un anno per pazienti trattati con schema sito-specifico vs generico, anzi il tasso era numericamente superiore per il braccio che riceveva la terapia standard (55% vs 44%, p=0.264).
In modo analogo, erano simili le mediane di sopravvivenza overall (12.5 mesi e 10 mesi) e di sopravvivenza libera da progressione (5.1 e 4.8 mesi), sempre con un lieve vantaggio numerico per la strategia classica.Non stupisce il fatto che i dati di outcome fossero migliori per pazienti con malattia in risposta.
Il messaggio del trial è semplice e diretto: al momento attuale, sebbene sia utile la profilazione della neoplasia a origine non nota con una approfondita analisi di espressione genica per meglio definirne la sede iniziale [sono attualmente in commercio due saggi, il Cancertype-ID della Biotheranostic e il Tissue of Origin della Cancer Genetics], la strada per tradurre l'informazione biologica in scelta terapeutica sembra ancora lontana e non va proposta come standard terapeutico.
Si vedano anche, per un approfondimento sull'argomento, le linee guida AIOM 2018 sui tumori epiteliali primitivi occulti (TEPO).