Miscellanea
Martedì, 03 Marzo 2015

Un MUST della ricerca? Esplorare il confine tra efficacia e futilità.

A cura di Fabio Puglisi

Uno studio fa il punto sugli accessi ai dipartimenti di emergenza di pazienti oncologici nell'ultimo mese di vita. Ma quale è il confine tra un intervento futile e una reale motivazione clinica di tali scelte? Ancora pochi gli studi che affrontano il tema, ancora acerba la discussione.

Il verificarsi di accessi multipli a un dipartimento di terapia intensiva nell'ultimo mese di vita è un indicatore riconosciuto di accanimento terapeutico.
La prevalenza di tale fenomeno costituisce un marcatore potenziale di scarsa qualità.
Inoltre, non vi è alcuna evidenza scientifica che le cure aggressive (intensive) nel fine vita migliorino la sopravvivenza.

Viceversa, possono essere causa di:

  • danno individuale (peggioramento della qualità di vita del paziente e dei familiari)
  • danno sociale (aumento della domanda a strutture già critiche per sovraccarico assistenziale; aumento ingiustificato dei costi)

Disegno dello studio: revisione sistematica e metanalisi al fine di esplorare i fattori associati con gli accessi a una struttura di terapia intensiva nell'ultimo mese di vita di pazienti oncologici.


L'associazione tra fattore e probabilità di accesso alla struttura di terapia intensiva è stata espressa in termini di odds ratio (OR), con rispettivo intervallo di confidenza al 95%.
L'eterogeneità è stata valutata mediante l'I2. Per gli studi nei quali una significativa eterogeneità è stata identificata (I2 > 50%), la metanalisi è stata rifatta escludendo uno studio per volta, al fine di valutare il singolo contributo degli studi nel determinare la stessa.

Sono stati analizzati 30 studi che riportavano informazioni su 3 fattori demografici, 5 fattori clinici e 13 fattori ambientali, combinando i dati di 5 Paesi, relativi a più di un milione di pazienti (N=1.181.842).

Una maggiore probabilità di accesso a un dipartimento di emergenza è stata osservata per le seguenti categorie:

  • sesso maschile (OR 1.24; 95% IC: 1.19 -1.29; I2, 58.2%)
  • razza nera (OR 1.45; 95% IC 1.40-1.50; I2, 0.0%)
  • diagnosi di tumore polmonare (OR 1.17; 95% IC, 1.10-1.23; I2, 59.5%)
  • stato socioeconomico basso (OR 1.15; 95% IC, 1.10-1.19; I2, 0.0%)

Viceversa, gli accessi sono risultati meno probabili per i pazienti già coinvolti in un programma di cure palliative (OR 0.43; 95% IC, 0.36-0.51; I2, 59.4%).

Nell'ultimo mese di vita, la probabilità di accesso ad una struttura di terapia intensiva aumenta in presenza di una delle seguenti variabili:

  • sesso maschile
  • razza nera
  • patologia polmonare
  • stato socio-economico basso
  • assenza di un programma di cure palliative

Questi risultati possono essere tradotti in pratica clinica? La risposta, verosimilmente, è sì. Come?
Favorendo campagne di informazione rivolte principalmente alle categorie a rischio (laddove i fattori che le caratterizzano sono inevitabili: sesso, razza, patologia, stato socioeconomico) e incoraggiando i percorsi di cure palliative.

Lo studio ha inoltre riportato che la proporzione di pazienti con più di un accesso in terapia intensiva nell'ultimo mese di vita è risultata significativamente più alta fra coloro che avevano continuato la chemioterapia nei due mesi precedenti il decesso rispetto a coloro che l'avevano interrotta almeno tre mesi prima (p = 0.002).

Il legame tra le due osservazioni (accessi in terapia intensiva e terapia oncologica attiva nel fine vita) è consistente con l'attribuzione di indice di scarsa qualità clinica a entrambi i fenomeni.

La ricerca clinica nel fine vita deve esplorare, senza timori, il confine tra efficacia e futilità. In assenza di conoscenza, qualunque decisione rimane aleatorie.