Il tema dei conflitti di interesse - in particolare finanziari - degli esperti coinvolti nella produzione delle raccomandazioni e linee guida, in oncologia come nelle altre discipline, è sempre caldo. Un’analisi condotta negli USA offre spunti di riflessione.
Desai, AP, Chengappa, M, Go, RS, Poonacha, TK. Financial conflicts of interest among National Comprehensive Cancer Network clinical practice guideline panelists in 2019. Cancer. 2020.
Le linee guida rappresentano, in oncologia come nelle altre specialità, uno strumento prezioso per la valutazione dell’evidenza a sostegno delle decisioni cliniche, e contengono raccomandazioni utili per la pratica clinica. Si potrebbe pensare che, essendo basate sulle evidenze, le raccomandazioni siano relativamente oggettive, e poco “influenzabili” dall’opinione. In realtà, purtroppo solamente in una minoranza di situazioni cliniche l’evidenza scientifica è così solida da rendere praticamente unanime la raccomandazione. In molte altre situazioni non esistono studi “solidi”, oppure l’evidenza prodotta dagli studi esistenti documenta un rapporto incerto tra i rischi e i benefici associati alla decisione clinica. In queste situazioni, è cruciale che il giudizio di chi è chiamato a esprimersi sulla raccomandazione non sia condizionato da altri interessi secondari.
E’ il tema caldo dei conflitti di interessi, tanto spesso discusso per le sue numerose sfaccettature in ambito medico. Come recita il documento del Comitato Nazionale per la Bioetica (http://bioetica.governo.it/media/3118/p76_2006_conflitti_interessi-clinica_it.pdf), “i conflitti d’interesse possono essere di due tipi diversi: quelli diretti e quelli indiretti. I primi occorrono quando il medico-ricercatore riceve direttamente un compenso per il suo lavoro da parte di un’industria. I conflitti indiretti si realizzano quando il medico-ricercatore impegnato in una ricerca che coinvolge un prodotto di un’industria, riceve da questa industria varie forme di vantaggi (ad esempio, partecipazione gratuita a congressi, viaggi, borse di studio per lui o per i suoi collaboratori, concessione di apparecchiature scientifiche ‘in comodato’, ecc.).”
Le linee guida del National Comprehensive Cancer Network (NCCN), seppure spesso criticate per la metodologia di produzione, sono un importante riferimento per numerosissimi oncologi, non solo statunitensi. Ciascuna linea guida contiene numerose raccomandazioni, prodotte da un panel di esperti.
Gli autori dell’articolo pubblicato su Cancer il 4 giugno 2020 hanno preso in esame la più recente versione disponibile al momento dell’analisi (nel 2019) delle linee guida del NCCN, limitandosi alle 10 patologie oncologiche caratterizzate dalla maggiore incidenza, allo scopo di descrivere i conflitti di interesse dichiarati dai membri del panel.
In ciascuna linea guida, è disponibile una lista delle dichiarazioni di conflitti di interesse, e gli autori hanno classificato i conflitti, per ciascun membro del panel, incluso il coordinatore e il vicecoordinatore, in base alla tipologia di conflitto e all’azienda farmaceutica interessata.
Gli autori hanno classificato come “episodio” unitario l’esistenza di 1 conflitto, da parte di un membro del panel, con 1 azienda farmaceutica in una linea guida. L’analisi ha descritto quindi la frequenza degli episodi, sia singoli che multipli.
Complessivamente, sono stati presi in esame 491 membri dei panel delle 10 linee guida analizzate. Praticamente tutti (483, pari al 98.3%) aveva rispettato l’obbligo di esplicitare i propri conflitti di interesse finanziari.
Circa la metà dei panelist (46.4%) ha riportato almeno 1 episodio di conflitto di interesse finanziario. In totale, sono stati dichiarati 1103 episodi, con una media di 4.9 episodi per i panelist che ne hanno dichiarato almeno 1. Come atteso, la situazione di conflitto più frequentemente riportata (dal 19.9%) è stata la partecipazione a un advisory board o la prestazione come consulente.
I 1103 episodi di conflitto hanno riguardato un totale di 191 aziende. Le aziende più frequentemente citate dai panelists nei loro conflitti di interesse finanziari sono state Bristol‐Myers Squibb, Merck, Genentech e AstraZeneca.
Per quanto riguarda I diversi tipi di tumori, la prevalenza di conflitti di interessi è risultata pari al 56% nelle linee guida sui tumori del polmone, 52% nel tumore della vescica, 52% nel tumore del pancreas, 50% nel linfoma non Hodgkin, 49% nel tumore del rene, 43% nel tumore del colon-retto, 42% nel carcinoma della mammella, 40% nel melanoma, 38% nel tumore della prostata e 32% nel tumore dell’utero.
Multipli conflitti di interesse sono spesso dichiarati anche dai coordinatori o vice-coordinatori delle linee guida (in 6 tumori su 10), con una media di 6.4 episodi tra coloro che hanno dichiarato conflitti di interesse.
L’analisi appena pubblicata sulle pagine di Cancer conferma, come atteso, che i conflitti di interesse finanziari sono molto frequenti tra gli esperti che compongono il panel delle linee guida del National Comprehensive Cancer Network. Gli autori sottolineano che praticamente nella metà delle linee guida, più della metà dei membri del panel hanno almeno 1 conflitto di interesse. Più di metà dei coordinatori e dei vice coordinatori delle linee guida riportano più di un conflitto di interessi.
Molte volte si è discusso, in questi anni, dell’argomento e molte volte si è detto che l’esistenza e la conseguente dichiarazione di conflitto di interessi non è di per sé un comportamento sbagliato, quanto piuttosto una condizione di rischio, vale a dire una condizione nella quale il giudizio professionale può essere influenzato da un interesse secondario (nella maggior parte dei casi economico, ma non necessariamente: potrebbe trattarsi, ad esempio, anche di un interesse accademico, di ritorno personale in termini di carriera, di prestigio, di pubblicazioni).
Anche in Italia ci si è spesso occupati, anche in ambito oncologico, del problema del conflitto di interessi nella produzione delle linee guida. AIOM ha dedicato al tema le giornate dell’etica di Ragusa del 2019. Si è parlato dello stesso tema anche nel “Percorso di formazione per i pazienti – Ricerca clinica e linee guida AIOM” organizzato da AIOM a febbraio 2020.
La pubblicazione ci ricorda, se ce ne fosse bisogno, che il problema non è solo italiano. E’ abbastanza chiaro che la “disclosure”, la dichiarazione dei conflitti di interesse è una tappa necessaria, ma probabilmente non sufficiente. Basta elencare tutti i propri conflitti di interesse, in particolare finanziari, per “annullare” l’eventuale distorsione nella produzione della raccomandazione? Basta che il lettore conosca quei conflitti per applicare in maniera corretta la raccomandazione? Ovviamente non è così semplice.
Come discute anche l’editoriale di Stadler che accompagna l’articolo, molti propongono di limitare il peso, nella votazione che porta alla raccomandazione, dei membri del panel che abbiano dichiarato conflitti di interesse relativi a quell’argomento. Questa può essere una soluzione realistica, ma come afferma Stadler, si corre il rischio che sia poi chiamato ad esprimersi sull’argomento solo chi, essendo meno esperto, non ha conflitti.
Provocatorio è appunto il titolo dell’editoriale: No interest, no conflict…