Nell'incertezza di quanto intensivo debba essere il follow-up per la paziente radocalmente trattata per carcinoma endometriale, si erige il trial multicentrico italiano TOTEM. Strategia intensiva o minimalismo? L'evidenza non è più un tabù.
Zola P, Ciccone G, Piovano E, Fuso L, Di Cuonzo D, Castiglione A, Pagano E, Peirano E, Landoni F, Sartori E, Narducci F, Bertetto O, Ferrero A; TOTEM Collaborative Group. Effectiveness of Intensive Versus Minimalist Follow-Up Regimen on Survival in Patients With Endometrial Cancer (TOTEM Study): A Randomized, Pragmatic, Parallel Group, Multicenter Trial. J Clin Oncol. 2022 Jul 20:JCO2200471.
Il tema dell'intensità del follow-up non è certo una novità nel panorama della oncologia italiana (solo a titolo di esempio si vedano Rosselli del Turco M, et al, JAMA 1994 o per essere più vicini ai giorni nostri Puglisi F, et al. Ann Oncol 2005), ma il tema acquisisce ancora maggiore rilievo in un contesto epocale in cui la prevalenza continua a crescere e le risorse umane scarseggiano. Sebbene siano chiari gli intenti con cui è impostato e condotto il follow up (e la sorveglianza), non è infrequente cedere alla tentazione di intensificare i controlli nel tempo o prescrivere accertamenti probabilmente di poco valore per il paziente (marcatori, imaging sofisticato, ecc...). E' anche da notare che i dati "solidi" di evidenza siano limitati e, talvolta, le linee guida siano incoerenti nel suggerire quale strategia adottare.
Lo studio italiano, recentemente pubblicato su J Clin Oncol, affonda le radici in questo tema e mira a testare in un setting randomizzato prospettico ma al contempo pragmatico se il follow-up intensivo sia superiore a quello minimale per pazienti operate di carcinoma endometriale, la più frequente neoplasia ginecologica. Erano arruolate in un arco di 10 anni (2008-2018) in 42 ospedali italiani donne radicalmente operate per neopalsia endometriale stadio FIGO I-IV.
Il disegno dello studio mirava a dimostrare un potenziale aumento del 5% in sopravvivenza a 5 anni (dal 75% all'80%, corrispondente a un HR di 0.78) qualora fosse accolta la strategia intensiva. Assumendo un dropout rate del 5% (per la verità piuttosto limitato in un follow-up quinquennale), erano necessarie 2300 pazienti randomizate.
Le procedure di follow-up variavano in considerazione del rischio iniziale di ricaduta.
Per le pazienti a basso rischio di recidiva si intendeva come follow-up minimale i soli esami clinici generali e ginecologici e come follow-up intensivo lo stesso + citologia vaginale ed imaging radiologico con TC torace addome annuale nei primi due anni.
Per le pazienti ad alto rischio di recidiva si intendeva come follow-up minimale gli esami clinici generali e ginecologici + citologia vaginale ed imaging radiologico con TC torace addome annuale nei primi due anni e come follow-up intensivo lo stesso + l'aggiunta del dosaggio del marcatore e una prosecuzione a 3-5 anni delle indagini radiologiche.
Nel trial sono state randomizzate 1.860 pazienti nell'arco di un decennio, con 932 pazienti incluse nella analisi ITT per il braccio di follow-up intensivo e 915 in quello di follow-up minimale.
In entrambi i bracci di trattamento il 60% delle pazienti aveva un basso rischio di recidiva, senza differenze nelle caratteristiche basali delle pazienti arruolate nei due bracci di trattamento.
Dopo un follow-up mediano di 70 mesi, la sopravvivenza a 5 anni era del 90.6% nel braccio assegnato a follow-up intensivo vs 91.9% in quello con follow-up minimale (HR 1.13, 95%CI 0.86-1.50, p= ns). Inoltre, non si riscontravano differenze in OS nella analisi di sottogruppo che consideravano età, tipo di trattamento oncologico ricevuto, rischio di recidiva basale o aderenza del centro alle procedure dello studio.
Il messaggio è chiaro: sebbene la chance di individuare una recidiva asintomatica fosse leggermente più alta con un follow-up intensivo, questa strategia non aumenta la chance di sopravvivenza a 5 anni in donne trattate radicalmente per carcinoma endometriale, nemmeno in quelle con alto rischio di ricaduta stimato al basale.
Le linee guida dovrebbero quindi suggerire indicazioni allineate alle evidenze disponibili e gli oncologi limitare le indagini prescritte al follow-up minimale, evitando di richiedere esami citologici, biochimici o di imaging laddove non sono indicati.
Si segnala che la mutazione di p53 non era noto essere un fattore prognostico sfavorevole per il carcinoma endometriale a basso rischio nel momento in cui lo studio è stato disegnato.