Miscellanea
Sabato, 16 Marzo 2019

La terapia antibiotica della neutropenia febbrile: essere tempestivi è importante

A cura di Massimo Di Maio

Uno studio retrospettivo ci ricorda che la velocità nell’inizio della terapia antibiotica nei pazienti con neutropenia febbrile migliora le chances di successo, riducendo la mortalità a 30 giorni. Piccoli ritardi possono essere accettati, ma non più di tanto.

Daniels LM, Durani U, Barreto JN, O'Horo JC, Siddiqui MA, Park JG, Tosh PK. Impact of time to antibiotic on hospital stay, intensive care unit admission, and mortality in febrile neutropenia. Support Care Cancer. 2019 Feb 25. doi: 10.1007/s00520-019-04701-8. [Epub ahead of print] PubMed PMID: 30805726.

La neutropenia febbrile rappresenta una delle complicanze più pericolose dei trattamenti antitumorali citotossici. La neutropenia febbrile (linee guida AIOM 2018) è definita come la rilevazione di una temperatura corporea superiore a 38.5 gradi per una durata superiore a un’ora, oppure 3 misurazioni superiori a 38 gradi a distanza di un’ora l’una dall’altra, in un paziente con neutrofili inferiori a 500 / mmc.

Gli autori della pubblicazione di Supportive Care in Cancer hanno condotto uno studio retrospettivo, con l’obiettivo di valutare l’associazione tra il tempo trascorso tra la documentazione della febbre nel paziente neutropenico e l’inizio della terapia antibiotica e l’outcome dei pazienti, in termini di:

  • durata del ricovero ospedaliero;
  • ricovero in terapia intensiva;
  • mortalità a 30 giorni.

I casi presi in considerazione nell’analisi sono stati i pazienti adulti (età maggiore o uguale a 18 anni), ospedalizzati, con diagnosi di neutropenia febbrile occorsa tra il 1 agosto 2006 e il 31 luglio 2016.

E’ stata condotta un’analisi multivariata, allo scopo di correggere le analisi per altri fattori potenzialmente importanti nel condizionare la durata del ricovero, il ricovero in terapia intensiva e la mortalità a 30 giorni.

Complessivamente, sono stati inclusi nell’analisi 3219 casi.

Il 50.6% dei pazienti ha ricevuto antibiotici entro le 2 ore dalla documentazione della febbre.

La maggior parte dei pazienti aveva neoplasie ematologiche (linfomi 51.4%, leucemie 36.2%).

La lunghezza mediana del ricovero in ospedale è stata pari a 7.0 giorni (range interquartile 4.1 – 13.3), la percentuale di ricovero in terapia intensiva è risultata pari al 13.6%, la mortalità a 30 giorni è risultata pari al 6.6%.

La mortalità a 30 giorni aumenta dal 5% nei pazienti in cui la terapia antibiotica è stata iniziata entro 2 ore dalla documentazione della febbre al 13% nei pazienti in cui la terapia antibiotica era stata iniziata dopo oltre 24 ore (p<0.01).

L’analisi multivariata non ha evidenziato un’associazione significativa tra il tempo all’inizio della terapia antibiotica e la durata del ricovero ospedaliero, ma ha evidenziato un’associazione statisticamente significativa con il ricovero in terapia intensiva e con la mortalità a 30 giorni.

I pazienti che hanno ricevuto terapia antibiotica oltre 24 ore dopo la febbre hanno un rischio di mortalità significativamente aumentato rispetto a quelli che hanno ricevuto terapia antibiotica entro 2 ore (odds ratio 2.08, p=0.02).

Sulla base dei risultati sopra descritti, gli autori concludono che la tempestività nell’inizio della terapia antibiotica è importante nel trattamento della neutropenia febbrile ma che, peraltro, ritardi di piccola entità nella somministrazione di antibiotico non hanno un evidente impatto negativo sugli outcome.

La migliore definizione dell’infezione, non basata solo sulla presenza di febbre, e altre misure di supporto, in aggiunta agli antibiotici, potrebbero migliorare ulteriormente l’outcome dei pazienti con neutropenia.

Le linee guida AIOM (edizione 2018) ricordano che l’impiego del fattore di crescita G-CSF non si dovrebbe utilizzare di routine in aggiunta all’antibioticoterapia (raccomandazione negativa debole).

Tale raccomandazione si basa su una metanalisi che, pur documentando una riduzione della durata della neutropenia e una riduzione dei tempi di ospedalizzazione, non ha evidenziato alcuna riduzione significativa della mortalità nei pazienti che ricevevano, in occasione dell’episodio di neutropenia febbrile, il fattore di crescita in aggiunta alla terapia antibiotica.

Peraltro, le medesime linee guida AIOM ricordano che, in casi selezionati e identificati come a rischio particolare, è possibile prendere in considerazione (raccomandazione positiva debole) la somministrazione del fattore di crescita in aggiunta all’antibiotico (pazienti anziani, pazienti con neutropenia inferiore a 100/mmc e con durata attesa superiore a 10 giorni, pazienti con sindrome settica o polmonite, pazienti con pregressi episodi di neutropenia febbrile).