Miscellanea
Sabato, 07 Maggio 2022

Le scelte cliniche nelle ultime settimane di vita dei pazienti oncologici: difficile giudicare, ma giusto parlarne.

A cura di Massimo Di Maio

Un’analisi condotta in Emilia Romagna descrive la proporzione di pazienti sottoposti a trattamento antitumorale nell’ultimo mese di vita e la proporzione di attivazione di cure palliative: si tratta di numeri da interpretare con estrema cautela, ma che stimolano la riflessione.

Formoso G, Marino M, Guberti M, et al. End-of-life care in cancer patients: how much drug therapy and how much palliative care? Record linkage study in Northern Italy. BMJ Open 2022;12:e057437. doi: 10.1136/bmjopen-2021-057437

Spesso la somministrazione di chemioterapia nelle ultime settimane di vita viene giudicata, necessariamente post hoc, come un trattamento inappropriato per i pazienti oncologici, anche se naturalmente le situazioni cliniche e le condizioni nel momento in cui quella scelta di trattamento viene fatta possono essere molto diverse tra loro.

Al contrario, è giusto invocare l’opportunità di una attivazione tempestiva dei servizi di cure palliative, per evitare che il paziente ne sia sprovvisto nel momento in cui sono più necessari.

Lo studio di popolazione pubblicato da BMJ Open è stato condotto in Emilia Romagna, ed ha preso in considerazione i dati amministrativi di 55625 pazienti deceduti per cancro tra il 2017 e il 2020.

Gli autori, nello specifico, hanno analizzato i registri dei decessi, collegandone i dati con le informazioni relative ai ricoveri, alle prestazioni sanitarie (inclusa la somministrazione di farmaci antitumorali), all’attivazione di cure di supporto domiciliari o ricovero in hospice.

Ai fini dell'analisi, i tumori erano classificati, in maniera necessariamente arbitraria, in 2 categorie di aggressività: tra quelli aggressivi c'erano ad esempio le neoplasie polmonari, i tumori cerebrali, le leucemie, le neoplasie di esofago, stomaco, fegato e pancreas. 

Obiettivi principali dell’analisi erano la descrizione della frequenza di somministrazione di farmaci antitumorali negli ultimi 30 giorni di vita, l’attivazione dei servizi di cure palliative, nonché l’identificazione dei fattori significativamente associati con le suddette variabili.

Sul totale dei 55625 pazienti inclusi nell’analisi, il 15.3% ha ricevuto terapia antitumorale nell’ultimo mese di vita. Tale percentuale variava dal 12.5% al 16.9% nelle varie aziende sanitarie locali incluse nell’analisi.

Per quanto riguarda l’attivazione di servizi di cure palliative, questi sono stati registrati nel 40.2% dei pazienti, con una variazione compresa tra il 36.2% e il 43.7% nelle varie aziende sanitarie locali.

E’ stata osservata un’associazione inversa statisticamente significativa tra la chance di ricevere terapia nell’ultimo mese di vita e la chance di attivazione dei servizi di cure palliative: pazienti per i quali sono stati attivati i servizi di cure palliative hanno avuto una chance significativamente inferiore di ricevere trattamento antitumorale attivo (Odds Ratio 0.92, intervallo di confidenza al 95% 0.87 - 0.97).

Analizzando i fattori associati alla chance di ricevere un trattamento antitumorale attivo, l’analisi multivariata ha evidenziato una riduzione di tale somministrazione in chi aveva ricevuto chirurgia negli ultimi 6 mesi (Odds Ratio 0.59, intervallo di confidenza al 95% 0.52 - 0.67), in chi aveva un tumore aggressivo (Odds Ratio 0.88, intervallo di confidenza al 95% 0.84 - 0.93) e all’aumentare dell’età (Odds Ratio per anno in più 0.95, intervallo di confidenza al 95%  0.95 - 0.95).

Inoltre, la chance di ricevere un trattamento nell’ultimo mese è risultata maggiore nei pazienti con neoplasie ematologiche (Odds Ratio 2.15, intervallo di confidenza al 95% 2.00 - 2.30) e in chi aveva ricevuto un ricovero ospedaliero negli ultimi 6 mesi (Odds Ratio 1.63, intervallo di confidenza al 95% 1.55 - 1.72).

Per quanto riguarda i fattori associati alla chance di attivare i servizi di cure palliative, questa chance risulta significativamente minore per i pazienti affetti da neoplasie ematologiche (Odds Ratio 0.52, intervallo di confidenza al 95% 0.49 - 0.56), in caso di chirurgia negli ultimi 6 mesi (Odds Ratio 0.44, intervallo di confidenza al 95% 0.39 - 0.49), in caso di ricovero ospedaliero negli ultimi 6 mesi (Odds Ratio 0.70, intervallo di confidenza al 95% 0.67 - 0.72), per i pazienti più anziani (Odds Ratio per anno di età crescente 0.99, intervallo di confidenza al 95% 0.99 – 0.99) e (come detto sopra) per chi riceveva trattamento attivo nell’ultimo mese (Odds Ratio 0.90, intervallo di confidenza 0.85 - 0.94).

La chance di attivazione delle cure palliative è risultata maggiore per i pazienti affetti da neoplasia aggressive (Odds Ratio 1.12, intervallo di confidenza al 95% 1.08 - 1.16).

Sulla base dei dati sopra sintetizzati, gli autori sottolineano che una percentuale non trascurabile dei pazienti oncologici riceve un trattamento antitumorale attivo nelle settimane precedenti il decesso, e che una percentuale molto elevata di casi non ha accesso ai servizi di cure palliative.

Naturalmente, gli autori sono i primi a riconoscere I limiti della loro analisi. La semplice descrizione dei flussi amministrativi non tiene conto di numerose variabili cliniche che possono condizionare in maniera sostanziale la decisione di somministrare chemioterapia o un altro trattamento antitumorale attivo. E’ esperienza comune che, al di là del tipo di tumore e dei trattamenti precedentemente ricevuti, le condizioni cliniche (e quindi la motivazione a proporre e a ricevere ulteriore trattamento attivo) possono essere estremamente diverse da caso a caso.

Il lavoro si inserisce nel filone di letteratura abbastanza nutrito che valuta “post hoc” l’appropriatezza delle scelte terapeutiche fatte nell’ultimo mese di vita dei pazienti oncologici. Non sorprende il fatto che la chance di ricevere trattamento attivo sia inversamente associata alla probabilità di attivazione delle cure palliative.

E’ probabile che la proporzione di pazienti che ricevono chemioterapia o altro trattamento antitumorale nell’ultimo mese di vita non scenderà mai a zero, e forse neanche è realistico che possa scendere troppo. In alcuni casi lo scadimento delle condizioni può essere relativamente repentino, in altri il decesso può essere attribuito, pur in un quadro clinico complesso, a episodi relativamente acuti. Dietro quel 15% di pazienti trattati poco prima di morire ci sono storie diverse, ragionevolmente comunicazioni diverse tra medico e paziente, motivazioni diverse.
La disponibilità di trattamenti efficaci aumenta negli anni, e questo probabilmente aumenta il rischio di proporre al paziente più linee di terapia anche in situazioni nelle quali qualche decennio fa era raro farlo. La registrazione “post hoc” del decesso nelle settimane successive non etichetta necessariamente la scelta come un errore. Peraltro, i numeri servono a far riflettere, e a ricordarci che probabilmente c’è spazio per migliorare nella tempestività dell’attivazione delle cure palliative, a volte rinviata di visita in visita.

Anni fa, AIOM condusse una survey sui cosiddetti trattamenti “ad oltranza”, e tra i fattori associati con la chance di proporre un’ennesima linea di trattamento risultavano l’età giovane del paziente, le buone condizioni cliniche, la disponibilità di trattamenti potenzialmente attivi, la motivazione del paziente e dei familiari a continuare le cure attive. Il lavoro pubblicato ora da BMJ Open non è esattamente sovrapposto ai contenuti di quella survey (perché la variabile analizzata non era la proposta di una nuova linea di trattamento antitumorale, ma semplicemente la somministrazione nei 30 giorni precedenti il decesso di un trattamento che poteva anche essere la prosecuzione di una terapia già in corso da tempo).

E’ un dato di fatto che, al di là di uno scadimento clinicamente evidente del performance status, in molte situazioni cliniche non ci sono fattori prognostici così affidabili da guidare in maniera affidabile la decisione di proseguire o meno le terapie attive. Esistono però in letteratura evidenze che l’attivazione tempestiva di cure di supporto può contribuire a ridurre la proporzione di pazienti che ricevono trattamenti tossici nelle ultime settimane di vita, probabilmente anche migliorando la facilità della comunicazione tra medico e paziente e la discussione degli obiettivi realisticamente attesi dal trattamento.