Miscellanea
Sabato, 30 Aprile 2022

Live longer and live better: obiettivo qualità di vita negli studi clinici in oncologia.

A cura di Massimo Di Maio

Un’interessante analisi degli studi pubblicati nel 2019 conferma che solo una minoranza dei trattamenti dimostra un miglioramento della qualità di vita, e che spesso i risultati vengono commentati in maniera distorta, vale a dire favorevole anche in assenza di un beneficio significativo.

Samuel JN, Booth CM, Eisenhauer E, Brundage M, Berry SR, Gyawali B. Association of Quality-of-Life Outcomes in Cancer Drug Trials With Survival Outcomes and Drug Class. JAMA Oncol. Published online April 28, 2022. doi:10.1001/jamaoncol.2022.0864

Negli ultimi anni la comunità oncologica ha trovato un ampio consenso sull’importanza della qualità di vita come endpoint nelle sperimentazioni cliniche. Nonostante questo, l’inclusione della QoL tra gli endpoint degli studi e l’inclusione dei risultati di QoL nelle pubblicazioni rimane subottimale.

Una proporzione rilevante dei nuovi farmaci è stata approvata sulla base di risultati di efficacia (in alcuni casi sulla base di un prolungamento della sopravvivenza globale, in altri casi sulla base di un prolugamento della sopravvivenza libera da progressione), in assenza di dati relativi all’impatto del trattamento sulla qualità di vita.

Come abbiamo spesso sottolineato in questi anni, tale mancanza è particolarmente spiacevole nel caso di studi condotti in pazienti con malattia avanzata, dove spesso l’obiettivo del trattamento è il controllo di malattia, i pazienti sono sintomatici e il rapporto tra controllo dei sintomi ed eventuali effetti collaterali delle terapie è particolarmente delicato.

In questo scenario si inserisce la recente pubblicazione su JAMA Oncology del gruppo di autori canadesi, che hanno preso in considerazione gli studi randomizzati di fase III condotti in ambito oncologico, in pazienti con malattia avanzata, e pubblicati nel corso del 2019.

L’obiettivo degli autori era quello di dimostrare se i trattamenti oncologici che documentano un beneficio significativo in sopravvivenza globale o in sopravvivenza libera da progressione sono anche associati a un miglioramento della qualità di vita, rispetto ai trattamenti adottati come braccio di controllo nei rispettivi studi. Obiettivo dell’analisi era anche quello di analizzare la modalità con la quale gli autori delle pubblicazioni riportano e commentano i risultati “non positivi” di qualità di vita, vale a dire un risultato simile, o detrimentale, rispetto al braccio di controllo.

Principali outcome presi in considerazione nell’analisi erano:

  • l’associazione tra il risultato in termini di QoL e il risultato in sopravvivenza globale o in sopravvivenza libera da progressione;
  • la modalità di presentazione dei risultati di QoL senza evidenza di beneficio per il trattamento sperimentale rispetto al braccio di controllo;
  • l’associazione della modalità di presentazione / commento dei risultati di QoL nei casi senza evidenza di beneficio con la tipologia di sponsor (profit vs no profit) degli studi.

L’analisi ha incluso 45 studi randomizzati di fase III, per un totale di 24806 pazienti (13368 assegnati al braccio sperimentale e 11438 assegnati al braccio di controllo.

Complessivamente, solo 11 studi su 45 hanno riportato un miglioramento significativo della qualità di vita. Gli autori precisano che per soddisfare la definizione di miglioramento della qualità di vita non bastava un miglioramento del punteggio nel tempo rispetto al basale, ma un andamento migliore nel braccio sperimentale rispetto al braccio di controllo.

E’ stata riscontrata un’associazione significativa tra il miglioramento della QoL e il miglioramento della sopravvivenza globale: 7 studi su 11 (64%) hanno evidenziato anche un miglioramento della sopravvivenza, a fronte di 10 studi su 34 (29%) nei quali non c’era un miglioramento della qualità di vita (p=0.04). Gli autori sottolineano che tale associazione con il miglioramento della qualità di vita non era significativa nel caso della PFS (6 studi su 11 rispetto a 17 su 34, p=0.87).

In 6 studi è stato riportato un peggioramento significativo della QoL con il trattamento sperimentale rispetto al trattamento di controllo (in 3 casi su 6 il trattamento sperimentale era costituito da un farmaco a bersaglio molecolare).

In 11 studi, come detto sopra, è stato riportato un miglioramento significativo della QoL con il trattamento sperimentale rispetto al trattamento di controllo (in 6 casi su 11 il trattamento sperimentale era costituito da un trattamento immunoterapico).

Dei 34 studi nei quali non è stato osservato un miglioramento significativo della QoL rispetto al controllo, in 16 casi (corrispondenti al 47%), I risultati sono stati commentati in maniera positiva per il trattamento sperimentale. Tale commento positivo era più frequente nel caso di studi profit (p=0.01).

Gli autori canadesi commentano i risultati sopra riportati sottolineando che solo una piccola proporzione degli studi randomizzati condotti con nuovi trattamenti oncologici dimostra un miglioramento della qualità di vita.

Più volte, in questi anni, abbiamo sottolineato che la QoL è un endpoint importante per l’interpretazione complessiva dei risultati degli studi clinici, e che il vantaggio eventuale in sopravvivenza globale e in sopravvivenza libera da progressione non rende superflua l’analisi di qualità di vita.

In altre parole, per un trattamento che dimostri un beneficio in sopravvivenza globale, è comunque importante sapere quale è il “prezzo” da pagare in termini di tollerabilità e di qualità di vita complessiva: per la comunicazione con il paziente, è essenziale sapere se la maggiore efficacia si associa anche a un miglioramento della qualità di vita, o a nessun effetto documentato rispetto al braccio di controllo, o viceversa a un peggioramento significativo rispetto all’altro trattamento.

Nei casi in cui la superiorità del trattamento sperimentale sia basata su un prolungamento della sopravvivenza libera da progressione, diventa a maggior ragione essenziale sapere se il prolungamento del controllo strumentale di malattia si associ a un miglioramento della qualità di vita. Sfortunatamente, i risultati presentati nell’articolo di JAMA Oncology, con tutti i limiti di un’analisi condotta su un numero limitato di studi, evidenziano che non c’è associazione significativa tra miglioramento della PFS e miglioramento della qualità di vita.

L’altro risultato interessante presentato nell’articolo è che, a giudizio degli autori, molte volte risultati formalmente “non positivi” di qualità di vita (vale a dire senza vantaggio rispetto al braccio di controllo) vengono commentati come positivi e favorevoli al trattamento sperimentale. Nell’analisi questo “rischio” è maggiore negli studi profit rispetto agli studi nonprofit. Va detto che il rischio di presentazione “distorta” dei risultati “non positivi” degli studi clinici non vale solo per la qualità di vita , ma anche per altri endpoint, e non è una prerogativa degli studi profit. Qualche anno fa abbiamo mostrato che, anche nelle presentazioni a congresso, spesso gli studi “negativi” vengono presentati e commentati come “non negativi”, sia nel caso di sperimentazioni profit che non profit (https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32297907/).

La pubblicazione dello studio di Samuel e colleghi su JAMA Oncology è comunque la prova di una maggiore sensibilità della comunità oncologica, negli ultimi anni, al tema della qualità di vita. Peraltro, a fronte di questa maggiore sensibilità, ci sono ancora ampi margini di miglioramento nel “peso specifico” attribuito a patient-reported outcomes e QoL nella presentazione e nell’interpretazione dei risultati.