Uno studio randomizzato olandese ha provato a ridurre la neuropatia periferica indotta dalla chemioterapia raffreddando le mani con guanti ghiacciati… ma il risultato non convince.
Beijers, A.J.M. et al. Multicenter randomized controlled trial to evaluate the efficacy and tolerability of frozen gloves for the prevention of chemotherapy-induced peripheral neuropathy. Annals of Oncology 2020, Volume 31, Issue 1, 131 - 136
La neuropatia periferica è una tossicità comunemente riportata dai pazienti oncologici che ricevono chemioterapia con vari tipi di farmaci, in particolare l’oxaliplatino e i taxani. Sia nelle forme lievi che in quelle più severe può avere un significativo impatto negativo sulla qualità di vita.
La crioterapia sfrutta la vasocostrizione indotta dal freddo con l’obiettivo di ridurre l’effetto locale della chemioterapia. Una possibile applicazione è appunto quella di impiegare guanti che raffreddino le mani, allo scopo di mirare alla riduzione del danno indotto sui nervi periferici.
Allo scopo di valutare l’efficacia dei guanti “ghiacciati”, lo studio randomizzato olandese recentemente pubblicato da Annals of Oncology ha testato l’impiego di guanti ghiacciati in pazienti sottoposti a chemioterapia con oxaliplatino, docetaxel o paclitaxel.
Allo scopo di misurare la neuropatia periferica e la qualità di vita, sono stati impiegati patient-reported outcomes, impiegando questionari dell’EORTC, specificamente EORTC QLQ CIPN20 (dedicato alla neuropatia periferica) e QLQ-C30 (questionario generale sulla qualità di vita). I questionari sono stati somministrati a 4 tempi: al basale, dopo 3 cicli, alla fine della chemioterapia e dopo 6 mesi .
Lo studio ha randomizzato 180 pazienti totali, dei quali 90 randomizzati al braccio sperimentale (in cui i pazienti indossavano i guanti ghiacciati durante la somministrazione del trattamento) e 90 al braccio di controllo (in cui i pazienti non adottavano i guanti). La maggior parte dei pazienti riceveva il trattamento chemioterapico per un tumore del colon o per un tumore della mammella.
Una percentuale non trascurabile dei casi (pari al 34%) assegnati al braccio sperimentale ha interrotto l’applicazione dei guanti, nella maggior parte dei casi per fastidio non tollerabile.
Il confronto tra i 2 bracci dello studio, nell’analisi intention-to-treat, non ha evidenziato differenze significative nei punteggi di qualità di vita. I pazienti assegnati al braccio sperimentale, comunque, hanno riferito meno formicolio alle dita [β = −10.20, intervallo di confidenza al 95% = −3.94 to −3.14, P = 0.005] e meno fastidio nell’aprire una botttiglia o un barattolo, dovuta a minore compromissione della forza nelle mani (β = −6.97, intervallo di confidenza al 95% = −13.53 to −0.40, P = 0.04).
Nella analisi per protocol, analogamente, sono stati evidenziati lievi vantaggi per il braccio sperimentale, con minore dolore urente (β = −4.37, intervallo di confidenza al 95% = −7.90 to −0.83, P = 0.02) e meno crampi nelle mani (β = −3.76, intervallo di confidenza al 95% = −7.38 to −0.14, P = 0.04).
Le differenze nel formicolio alle mani sono risultate clinicamente rilevanti, ma solo alla prima valutazione e non ai tempi successivi. Le altre differenze riscontrate sono state clinicamente poco rilevanti.
I pazienti assegnati al braccio sperimentale hanno riportato una miglior qualità di vita globale (β = 4.79, intervallo di confidenza al 95% = 0.37 to 9.22, P = 0.03) e un miglior physical functioning (β = 5.66, intervallo di confidenza al 95% = 1.59 to 9.73, P = 0.007) rispetto ai pazienti del gruppo di controllo. Anche tali differenze sono state giudicate clinicamente poco rilevanti.
Non sono state osservate differenze nell’incidenza di riduzioni di dose della chemioterapia.
Sulla base dei risultati sopra riportati, gli autori concludono che l’adozione dei guanti ghiacciati potrebbe avere qualche vantaggio, specialmente nel breve termine, nel ridurre alcuni dei sintomi legati alla neurotossicità della chemioterapia. Peraltro, gli effetti a lungo termine sono trascurabili, e molti pazienti hanno interrotto l’applicazione dei guanti non riuscendo a sopportarla. Il bilancio complessivo dell’efficacia dell’intervento appare quindi almeno dubbio.
La conduzione di studi randomizzati dedicati alla prevenzione (o alla gestione) dei sintomi e delle tossicità dei trattamenti va sempre incoraggiata, e di conseguenza un plauso va agli sperimentatori che hanno disegnato e condotto questo studio. La disponibilità di patient-reported outcomes dedicati a vari aspetti della neuropatia periferica consente di descrivere nel dettaglio l’andamento nel tempo dei sintomi, meglio di quanto potrebbe fare la semplice descrizione della tossicità da parte del medico.
L’editoriale che accompagna la pubblicazione dello studio descrive molto bene i tentativi fatti, negli anni, per ridurre con il freddo (crioterapia) le tossicità della chemioterapia. Le applicazioni vanno dal ghiaccio usato per ridurre la mucosite da fluoropirimidine, alle cuffie usate per ridurre l’alopecia, ai tentativi, come quello dello studio qui commentato, di ridurre la neuropatia periferica. Purtroppo, al momento, né la crioterapia né la compressione hanno documentato in maniera inequivocabile un beneficio nel prevenire la neuropatia, che rimane un problema serio per molti pazienti trattati con l’oxaliplatino o con i taxani.