Miscellanea
Giovedì, 09 Marzo 2023

Melanoma: diventa standard l'immunoterapia prima dell'intervento?

A cura di Giuseppe Aprile

E' ben noto il beneficio del trattamento adiuvante con immunoterapia dopo la chirurgia per melanoma ad alto rischio di recidiva. E se somministrare pembrolizumab prima dell'intervento chirurgico fosse ancora più efficace?

Patel SP, Othus M, Chen Y, Wright GP Jr, Yost KJ, Hyngstrom JR, Hu-Lieskovan S, Lao CD, Fecher LA, Truong TG, Eisenstein JL, Chandra S, Sosman JA, Kendra KL, Wu RC, Devoe CE, Deutsch GB, Hegde A, Khalil M, Mangla A, Reese AM, Ross MI, Poklepovic AS, Phan GQ, Onitilo AA, Yasar DG, Powers BC, Doolittle GC, In GK, Kokot N, Gibney GT, Atkins MB, Shaheen M, Warneke JA, Ikeguchi A, Najera JE, Chmielowski B, Crompton JG, Floyd JD, Hsueh E, Margolin KA, Chow WA, Grossmann KF, Dietrich E, Prieto VG, Lowe MC, Buchbinder EI, Kirkwood JM, Korde L, Moon J, Sharon E, Sondak VK, Ribas A. Neoadjuvant-Adjuvant or Adjuvant-Only Pembrolizumab in Advanced Melanoma. N Engl J Med. 2023 Mar 2;388(9):813-823

Tre studi clinici prospettici randomizzati hanno dimostrato il beneficio del trattamento con nivolumab o pembrolizumab (vs placebo o vs ipilimumab) in setting adiuvante per pazienti radicalmente ooperati di melanoma con elevato rischio di recidiva. In estrema sintesi, da questi trial emerge che il vantaggio assoluto in termini di relapse-free survival a 12 mesi può essere quantificato tra il 10 e il 15% grazie all'effetto della riattivazione del sistema immunitario contro le micrometastasi.

Molti studi preclinici ed early phase clinical trials hanno tuttavia suggerito che l'effetto della manipolazione dell'asse PD1/PD-L1 potrebbe anche essere superiore se il trattamento fosse somministrato prima dell'atto chirurgico.

Lo SWOG ha quindi disegnato un trial di fase II randomizzato (trial S1801) per confrontare l'utilizzo di pembrolizumab perioperatorio (3 dosi q21 in fase preoperatoria alla dose flat di 200 mg > intervento > 15 dosi in fase postoperatoria alla dose flat di 200 mg) vs adiuvante (18 somministrazioni postoperatorie allo stesso dosaggio).

Endpoint primario dello studio era la event free survival, che includeva ricaduta postchirurgica, progressione o tossicità prima dell'inizioo della terapia adiuvante. In particolare, il primary endpoint era definito come il tempo tra la data della randomizzazione e il primo tra i seguenti eventi: a) PD o tossicità che preclude la chirurgia radicale b) impossibilità a resezione completa c) PD, complicazioni postchirurgiche o effetti collaterali che impediscono l'avvio del trattamento adiuvante entro 84 giorni dalla chirurgia d) ripresa della malattia oncologica dopo la chirurgia ovvero e) morte per qualsiasi causa.

I pazienti eleggibili avevano un melanoma cutaneo, acrale o delle mucose con stadiazione IIIB-IIID ovvero in stadio IV oligometastatico resecabile. la procedura chirurgica era prepianificata e condotta a termine indipendentemente dal tipo e profondità di risposta al trattamento preoperatorio.

Lo studio ha arruolato circa 300 pazienti (154 nel braccio sperimentale e 159 in quello standard di sola terapia adiuvante), quasi tutti con PS 0-1 e ben bilanciati tra i due bracci per livello di LDH normale (86% vs 87%), stadio IIIB-C (85% vs 87%), origine cutanea del melanoma (93% vs 96%) e mutazione di BRAF (27% vs 24%).

Al follow-up mediano di circa 15 mesi, si registrava un netto vantaggio nell'endpoint primario a favore del braccio sperimentale (p=0.004, log-rank test) e nella landmark analisi la probabilità di EFS a 24 mesi era del 72% nel braccio sperimentale (95%CI 64-80) e del 49% nel braccio standard (95%CI 41-59).

Interessante anche notare che per chi era assegnato al trattamento perioperatorio il tasso di risposta completa ai primi tre cicli di pembrolizumab era del 6% e quello di risposta parziale del 41%.

Tra i due bracci di trattamento non soi osservavano differenze significative in tossicità.

I risultati del trial SWOG S1801 si allineano a quelli di altri studi e li confermano: la strategia del trattamento perioperatorio sembra essere vincente.

L'immunoterapia preoperatoria produce un elevato tasso di risposte, non incrementa la tossicità sistemica, non riduce la possibilità di chirurgia radicale e migliora la probabilità di EFS a due anni (in termini assoluti di oltre il 20%). Va anche ricordato che l'utilizzo dell'immunoterapia in setting preoperatorio ha dati simili in multiple patologie (NSCLC, neoplasie della vescica, tumori della mammalla triplo negativi, tumori del retto MSI-H...)

Si attende in ogni caso un follow-up più maturo. E rimane certamente da stabilire quale sia la durata ottimale della terapia preoperatoria, se una doppia immunoterapia sia maggiormente vantaggiosa rispetto all'agente singolo e quale strategia debba essere adottata nei pazienti che raggiungono una risposta completa prima della chirurgia.