ESMO presenta un’interessante classificazione dei trattamenti de-intensificati in oncologia: quando, non in maniera empirica ma sulla base dell’evidenza, si decide di ridurre la durata o l’intensità di un trattamento in nome della ridotta tossicità e della miglior qualità di vita.
D. Trapani, M.A. Franzoi, H.J. Burstein, et al. Risk-adapted modulation through de-intensification of cancer treatments: an ESMO classification. Ann Oncol, 33 (2022), 10.1016/j.annonc.2022.03.273
Per molto tempo la ricerca clinica in oncologia ha avuto l’obiettivo di massimizzare l’efficacia antitumorale dei trattamenti, aumentandone l’intensità di dose, in alcuni casi aumentando la durata dei trattamenti, aggiungendo ulteriori farmaci a schemi di provata efficacia.
Naturalmente, incrementare la durata o l’intensità dei trattamenti comporta mediamente una maggiore tossicità e un rischio di ripercussioni negative sulla qualità di vita. Negli ultimi anni, in numerosi setting clinici si è ribaltato l’approccio, puntando a dimostrare l’accettabilità in termini di efficacia di trattamenti “più leggeri”, o per durata, o per intensità di dose, o per numero di farmaci.
Quando si vogliono adottare trattamenti meno intensi, in nome di una miglior qualità di vita e una minore tossicità, se la scelta vuole essere basata sull’evidenza deve basarsi sulla dimostrazione rigorosa dell’accettabilità del regime meno intenso in termini di efficacia.
Nell’ottica di trovare un consenso sulle modalità di dimostrazione dell’efficacia di approcci “de-intensificati”, un sottogruppo di esperti nell’ambito del Precision Medicine Working Group dell’ESMO ha messo a punto un sistema di classificazione dei fattori sui quali è possibile basare un approccio di deintensificazione dei trattamenti antitumorali.
Il gruppo di esperti, dedicati a varie patologie, sia in ambito clinico che traslazionale che metodologico, insieme con esperti di salute pubblica e rappresentanti dei pazienti, ha prodotto un interessante documento che mette ordine in questo ambito complesso, identificando anche dei criteri utili per la pianificazione di futuri studi clinici.
Gli autori dell’interessante pubblicazione su Annals of Oncology hanno adottato una classificazione in 3 livelli (tier A, tier B, tier C).
Il documento contiene una definizione univoca di “de-intensificazione” del trattamento: riduzione nella densità di dose, nell’intensità di dose, nella dose cumulativa (comprese schedule di trattamento intermittente, o durata inferiore del trattamento, compresa anche l’eliminazione di farmaci o parti del trattamento).
Intrinseco nell’approccio di de-intensificazione deve essere l’obiettivo di ridurre la tossicità, migliorare la qualità di vita, ridurre il carico logistico dei trattamenti per il sistema sanitario, ridurre la tossicità finanziaria.
Esempi di approcci di “de-intensificazione” sono la decisione di somministrare o meno la chemioterapia nelle donne operate di carcinoma della mammella, con malattia ormono-sensibile, sulla base di test genomici, la decisione di ridurre a 3 mesi rispetto ai classici 6 mesi la durata della chemioterapia adiuvante per il carcinoma del colon, la decisione di ridurre la durata della terapia adiuvante con trastuzumab, rispetto ai 12 mesi standard, nelle donne operate di carcinoma della mammella HER2+.
La classificazione ESMO divide I biomarker potenzialmente utili per la modulazione del trattamento in 3 categorie (livelli, “tiers”) sulla base dei livelli di evidenza:
L’argomento trattato dal paper recentemente pubblicato da Annals of Oncology è veramente interessante. L’approccio di “de-intensificazione” non deve seguire solo regole di buon senso ma anche rispettare regole di qualità dell’evidenza che consentano di effettuare scelte cliniche solide.
Gli studi di non inferiorità, che rappresentano il livello più solido di evidenza per la dimostrazione dell’accettabile efficacia di un trattamento de-intensificato, presentano importanti insidie metodologiche. Come noto, in passato qualche autore ha anche definito gli studi di non-inferiorità come non etici, in quanto sarebbe rischioso per il paziente accettare la potenziale perdita di efficacia. In realtà, tale critica può essere ragionevole quando si riferisce alla dimostrazione di efficacia di un nuovo farmaco per il quale “ci si accontenti” di una non inferiorità rispetto allo standard. Al contrario, quando la non inferiorità viene applicata alla dimostrazione di efficacia di un trattamento “de-intensificato”, nell’ottica di una riduzione della tossicità e di una migliore qualità di vita, l’approccio appare legittimo.
Naturalmente, è cruciale la soglia scelta come accettabile per la non inferiorità: gli autori del documento ESMO sottolineano che l’accettabilità di tali soglie può variare in funzione del setting e dell’endpoint scelto (sopravvivenza, disease-free survival nella malattia operata e candidata a trattamenti adiuvanti; sopravvivenza, progression-free survival nella malattia metastatica). La soglia di non inferiorità andrebbe espressa in termini di differenze assolute (“delta”) piuttosto che differenze relative.
Il documento sottolinea giustamente che descrizione della tossicità e della qualità di vita sono cruciali per gli studi di “de-intensificazione”: la convenienza dell’approccio “de-intensificato” non deve essere data per scontata, ma dimostrata dallo studio, impiegando appropriati endpoint. Da questo punto di vista, patient-reported outcomes e qualità di vita devono avere un ruolo cruciale in questo tipo di studi.
La lettura del documento ESMO è istruttiva dal punto di vista metodologico ma soprattutto culturale: come oncologi, siamo troppo spesso abituati a ragionare sulla scelta dell’opzione che garantisce la massima efficacia, trascurando l’importanza del “trade-off” tra efficacia e “costi”, intesi come tossicità, qualità di vita, convenienza per il paziente e per il sistema.