L'efficacia dell'immunoterapia nel melanoma non smette di stupire: è ora la volta di relatlimab (un LAG-3 inibitore) combinato a nivolumab (noto PD.1 inibitore) a tracciare una strada innovativa. Pubblicati i risultati del trial RELATIVITY-047.
Tawbi HA, Schadendorf D, Lipson EJ, Ascierto PA, Matamala L, Castillo Gutiérrez E, Rutkowski P, Gogas HJ, Lao CD, De Menezes JJ, Dalle S, Arance A, Grob JJ, Srivastava S, Abaskharoun M, Hamilton M, Keidel S, Simonsen KL, Sobiesk AM, Li B, Hodi FS, Long GV; RELATIVITY-047 Investigators. Relatlimab and Nivolumab versus Nivolumab in Untreated Advanced Melanoma. N Engl J Med. 2022 Jan 6;386(1):24-34
Nell'ottica di trovare la più efficace immunoterapia in una patologia in cui già il trattamento con checkpoint inibitori ha rivoluzionato il trattamento sia nel setting avanzato che nell'adiuvante, si testa ora la combinazione di un inibitore di PD-1 (nivolumab) con un anticorpo che blocca LAG-3, una molecola espressa sulla superficie dei linfociti T regolandone negativamente la proliferazione e l'attività. uesto nuovo farmaco è il relatlimab, una IgG4 anti LAG-3 che ha la capacità di riattivare la funzione dei linfociti T, dimostrata in studi di fase I attiva e sicura in combinazione a nivolumab.
Il trial internazionale RELATIVITY-047 è stato disegnato come un fase II-III in doppio cieco in cui i pazienti con melanoma avanzato non pretrattato erano randomizzati a ricevere nivolumab in dose fissa (480 mg q 28 giorni) ovvero lo stessso farmaco in combinazione a relatlimab (160 mg sempre ogni 4 settimane). Endpoint primario dello studio era la PFS, valutata con revisione centralizzata indipendente. I pazienti inclusi nella sperimentazione erano stratificati per espressione di LAG-3 (< vs > 1%), di PD-L1 (> vs < 1%), presenza di mutazione di BRAFV600 e stadiazione (M0 o M1 con LDH normale vs M1 con LDH elevato).
Oltre 700 pazienti che hanno partecipato alla sperimentazione, senza differenze sostanziali tra i fattori prognostici basali - come ci si aspetta dalla stratificazione in un corposo trial di fase III.
L'endpoint primario dello studio è stato raggiunto: mPFS 10.1 mesi nel braccio di combinazione vs 4.6 mesi in quello di solo nivolumab (HR 0.75, 95%CI 0.62-0.92, p=0.006), dato sostanzialmente omogeneo per tutti i fattori considerati nella analisi di sottogruppo, che mantiene tuttavia una valore esploratorio. Va però sottolineato che il vantaggio in PFS sembrava limitato ai pazienti con espressione di LAG-3 di almeno 1% (75% del totale) con una PFS mediana nel gruppo a bassa espressione della proteina inferiore ai 5 mesi.
Inoltre, la PFS a 12 mesi era 48% nel braccio sperimentale vs 36% in quello standard, mentre il follow-up per gli endpoint secondari chiave (OS e ORR) è in corso.
La tossicità era maggiore nel braccio di combinazione con effetti avversi di grado 3-4 non paricolarmente frequenti (19%), ma in ogni caso raddoppiati rispetto a quelli riportati nei pazienti trattati con solo nivolumab (9%). Sebbene gli effetti collaterali severi di tipo immuno-mediato fossero moderatamente aumentati per la combinazione vs il solo nivolumab, va notato l'aumento delle miocarditi nel braccio sperimentale (1.7% vs 0.6%).
Lo studio RELATIVITY-047 porta un'altra convincente evidenza per l'utilizzo della doppia immunoterapia nel trattamento di prima linea del melanoma avanzato (in questo caso relatlimab combinato a nivolumab), in accordo con i dati del CheckMate 067 (Larkin J, et al. N Engl J Med 2019), trial che ha definito la combinazione di ipilimumab e nivolumab superiore al solo ipilimumab.
In particolare, la combinazione di relatlimab e nivolumab migliora l'outcome anche dei pazienti con malattia con fattori prognostici basali sfavorevoli (alto carico di malattia, LDH elevato, melanoma acrale o mucosale).
L'aumento di tossicità della nuova combinazione non ha impattato in modo importante sulla qualità di vita dei pazienti e sembra essere meno impegnativa rispetto a quella riportata per la combinazione di ipilimumab e nivolumab.
Del trial RELATIVITY-047 si attendono tuttavia i dati di sopravivenza a lungo termine: certamente il follow-up è molto meno prolungato rispetto a quello del CheckMate 067, ma ancora una volta si punta a raggiungere una sopravvivenza a 5 anni del 50% per pazienti fino a un decennio fa condannati a un destino decisamente meno favorevole.