Miscellanea
Giovedì, 16 Febbraio 2017

Primum non ipernocere

A cura di Giuseppe Aprile

Uno studio francese indaga il fenomeno delle iperprogressioni, l’evoluzione drammatica della malattia poco dopo l’inizio dell’immunoterapia. Ma quali sono i risvolti nella pratica clinica?

Champiat S, et al. Hyperprogressive Disease Is a New Pattern of Progression in Cancer Patients Treated by Anti-PD-1/PD-L1. Clin Cancer Res 2017.

L’utilizzo dell’immunoterapia costituisce la più recente rivoluzione dello scenario terapeutico oncologico: i dati dimostrano l’attività ed efficacia di questi agenti (anti CTLA-4, PD-1 inibitori e PD-L1 inibitori) in un numero sempre crescente di condizioni patologiche. Tuttavia, sono stati segnalati casi di pazienti con drammatica progressione della malattia a poche settimane dall’inizio del trattamento immunoterapico, nei quali l’utilizzo di questa categoria di farmaci non solo pare poco utile ma addirittura di nocumento. Tale risultato è nettamente differente dalla pseudoprogressione, nella quale l’aumento volumetrico della malattia, causato dalla massiccia infiltrazione linfocitica, si accompagna a un miglioramento delle condizioni cliniche.

Lo studio francese condotto al Gustave Roussy si propone di indagare il fenomeno dell’iperprogressione e di valutare se esistano predittori clinici, biochimici o molecolari dell’iperprogressione.

Gli autori comparano il tumor growth rate (TGR) – stima del volume tumorale nel tempo – prima (periodo reference) e dopo (periodo experimental, dall’inizio del trattamento alla prima rivalutazione radiologica di solito condotta a 8 settimane l’avvio dell’immunoterapia (periodo experimental, dall’inizio del trattamento alla prima rivalutazione radiologica di solito condotta a 8 settimane). Sono stati analizzati i dati clinici e radiologici di 218 pazienti consecutivi trattati con PD-1 e PD-L1 inibitori in studi di fase I, ogni paziente era il controllo di se stesso (pairwise comparisons, Wilcoxon signed-rank tests). La sopravvivenza era calcolata come il tempo trascorso tra il punto landmark (fissata a due mesi dall’avvio della terapia, cioè alla prima rivalutazione) e la morte per qualsiasi causa.

Un incremento del rapporto tra i due TRG era segnalato in un paziente ogni quattro (26%), ma il 9% dei pazienti (12/131 valutabili) riportava una iperprogressione, definita come un aumento del TGR di almeno il 200% alla prima rivalutazione rispetto alla fase preterapia.

Impressionante notare che nei pazienti con iperprogressione, l’aumento mediano del rapporto tra i due TRG era di circa 21 volte (range 2-141), sebbene i pazienti con iperprogressione avessero comparsa di nuove lesioni con minor frequenza di quelli senza iperprogressione (33% vs 84%, p=0.002)

L’avere una iperprogressione era più frequente in pazienti con età superiore ai 65 anni (19% vs 5%, p<0.05) e si associava a un outcome meno favorevole in sopravvivenza overall.

Questo è il primo studio che analizza il fenomeno dell'iperprogressione in una coorte consecutiva di pazienti trattati con PD-1 e PD-L1 inibitori.

Il fenomeno, riportato in circa il 10% dei pazienti e già intuibile guardando con attenzione gli spider plots degli studi fino ad ora pubblicati, definisce una categoria di pazienti che hanno detrimeto dall'utilizzo dell'immunoterapia.

Ad ora, l'unica chiara caratteristica comune a questi pazienti e l'età avanzata (>65 anni), ma è proprio dallo studio delle caratteristiche dei pazienti "estremi" (tanto i bad players quanto gli exceptional responders) che possiamo incrementare la conoscenza del background biologico. 

Rimane quindi fondamentale la raccolta dei campioni negli studi di fase I e II e resta da chiarire se questo fenomeno si presenti anche nella combinazione di immunoterapici o nelle possibili associazioni tra immunoterapia ed antiangiogenici.