Miscellanea
Lunedì, 15 Luglio 2024

Qualità di vita negli studi registrativi dei farmaci oncologici: uno scenario in evoluzione.

A cura di Massimo Di Maio

Un’analisi degli studi corrispondenti alle approvazioni di farmaci in oncologia ed ematologia da parte dell’agenzia statunitense FDA ha evidenziato che, ancora in anni recenti, molte volte i dati di qualità di vita non sono disponibili e, quando lo sono, non sempre documentano un beneficio con il trattamento sperimentale.

Medhavi Gupta, Othman Salim Akhtar, Bhavyaa Bahl, Angel Mier-Hicks, Kristopher Attwood, Kayla Catalfamo, Bishal Gyawali, Pallawi Torka - Health-related quality of life outcomes reporting associated with FDA approvals in haematology and oncology: BMJ Oncology 2024;3:e000369.

Negli ultimi anni è molto cresciuto, anche dal punto di vista regolatorio, l’interesse per la qualità di vita come endpoint degli studi clinici condotti in ambito oncologico.
Come noto, la presenza della qualità di vita tra gli endpoint degli studi è subottimale, come la pubblicazione dei risultati, spesso ritardata rispetto agli altri risultati dello studio (https://www.oncotwitting.it/miscellanea/come-evolve-nel-tempo-l-attenzione-alla-qualita-di-vita-negli-studi-in-oncologia ).

Questo comporta che, in molti casi, la valutazione del valore del trattamento non può includere (o almeno non può includere al momento della pubblicazione principale) i risultati di qualità di vita, nonostante tale endpoint sia riconosciuto come importante per la definizione del valore, non solo dalle autorità regolatorie ma anche da strumenti come la Magnitude of Clinical Benefit Scale dell’ESMO.

L’analisi del gruppo di Gupta e colleghi, tra cui Bishal Gyawali, pubblicata su BMJ Oncology a luglio 2024, ha esaminato I dati di qualità di vita per gli studi di farmaci oncologici ed oncoematologici, corrispondenti ad approvazioni da parte della U.S. Food and Drug Administration (FDA) nel periodo compreso tra il luglio 2015 e il maggio 2020.

Oggetto dell’analisi è stata la proporzione di studi clinici che hanno riportato i risultati di qualità di vita, nonché il tempo tra l’approvazione da parte dell’FDA e la pubblicazione dei risultati di qualità di vita.

Gli autori hanno anche descritto il risultato ottenuto dal trattamento sperimentale in termini di qualità di vita (miglioramento della qualità di vita rispetto al braccio di controllo, oppure assenza di differenze significative, oppure peggioramento della qualità di vita), nonché la correlazione tra il risultato ottenuto dal trattamento sperimentale in termini di overall survival (OS), in termini di progression-free survival (PFS) e il risultato in termini di qualità di vita.

Complessivamente, gli autori hanno preso in considerazione 233 studi clinici corrispondenti a 207 approvazioni da parte dell’FDA. La qualità di vita è risultata riportata nel 50% degli studi clinici, dei quali solo il 42% aveva i dati pubblicati al momento dell’approvazione da parte dell’FDA.

Nell’intervallo temporale incluso nell’analisi, tra il 2015 e il 2020, non sono stati notati trend significativi nella percentuale di studi per i quali risultava disponibile il dato di qualità di vita.

La pubblicazione primaria dello studio conteneva i dati di qualità di vita solo nel 30% degli studi.

Dei 115 studi con dati disponibili di qualità di vita, quest’ultima è risultata migliorata con il trattamento sperimentale nel 43% dei casi, senza differenze rispetto al braccio di controllo nel 53% dei casi, e peggiorata con il trattamento sperimentale nel 4% dei casi.

Considerando i soli studi che hanno portato all’approvazione del trattamento da parte dell’FDA sulla base di endpoint surrogati (il 79% del totale), la qualità di vita è risultata riportata nel 45% dei casi, e migliorata con il trattamento sperimentale solo nel 18% dei casi.

Non è risultata un’associazione significativa tra il vantaggio in OS o il vantaggio in PFS e il beneficio in qualità di vita.

Sulla base dei risultati sopra sintetizzati, gli autori sottolineano che la proporzione di studi clinici che riportano risultati di qualità di vita tra tutti gli studi corrispondenti a trattamenti approvati dall’autorità regolatoria statunitense è subottimale.

Deludente, dal punto di vista degli autori, il fatto che non sia stato evidente alcun trend di miglioramento nel tempo, almeno nel periodo di tempo preso in considerazione nell’analisi (il quinquennio 2015 – 2020).

Come già descritto da altre analisi simili, frequentemente il risultato di qualità di vita è pubblicato in ritardo rispetto alla comunicazione iniziale dei risultati relativi all’endpoint primario.

Deludente anche il fatto che, specialmente negli studi corrispondenti ad approvazioni sulla base di endpoint surrogati, dove sarebbe particolarmente importante poter valutare il dato di qualità di vita per valutare il valore del trattamento, i dati di qualità di vita sono in realtà disponibili solo in una minoranza di casi, e particolarmente bassa è la percentuale di casi in cui il trattamento sperimentale ha dimostrato un vantaggio in qualità di vita rispetto al trattamento sperimentale.

D’altra parte, si tratta di uno scenario in evoluzione, e negli anni recenti le agenzie regolatorie hanno in più occasioni sottolineato l’aumentato interesse ai dati di qualità di vita. Questo, di fatto, ha determinato un uso dei PROs e della qualità di vita pressoché universale negli studi registrativi promossi dall’industria, mentre probabilmente meno ottimale è l’impiego negli studi accademici.

Siamo in anni di crescita dell’interesse per questi argomenti nella comunità scientifica oncologica, e quel trend non riscontrato nei 5 anni dell’analisi di Gupta e colleghi probabilmente potrà essere evidente nel prossimo futuro, o almeno è auspicabile che sia così.