Trattamenti ad alto costo, beneficio limitato, target molecolare spesso assente. Il seguito della filosofia "Raising the bar" in un modello teorico per stabilire quale dovrebbe essere il minimo clinically meaningful outcome da accettare. Tra HRs, vantaggi mediani, benefici assoluti e relativi, riusciremo ad avere la ricetta vincente? La consolidata coppia Sobrero-Bruzzi con un cameo di Danny Sargent.
Sobrero A, et al. Raising the bar for antineoplastic agents: how to choose threshold values for superiority trials in advanced solid tumors. Clin Cancer Res 2014; epub Sep 17.
Nel 2009, con una sagace analisi dei principali trial di fase 3 pubblicati sui farmaci biologici in oncologia, gli autori ragionavano su quale fosse la grandezza della differenza in termini di outcome tra i due bracci di un trial, definita delta, plausibile da ottenere e clinicamente accettabile qualora fosse stata ottenuta (Sobrero A, et al. J Clin Oncol 2009). Il paper ha immediatamente prodotto un'ampia risonanza nella comunità scientifica internazionale, eco amplificata in anni di crisi economica.
I principali vantaggi nell'alzare l'asticella per definire vantaggioso un nuovo farmaco (filosofia "raising the bar") sarebbero stati il poter condurre trials con sample-size più limitato e con una migliore selezione molecolare dei pazienti, rendendo difficile la registrazione di costose molecole con beneficio limitato ed accelerando invece la selezione dei prodotti migliori. Per converso, sarebbero aumentate sia l'incertezza statistica che la possibilità di favorire l'entrata in commercio di farmaci "incrementalisti", quelli cioè che possono produrre un modesto vantaggio ma in un'ampia parte della popolazione considerata.
Nel paper recentemente pubblicato su Clin Cancer Res gli autori si focalizzano sulla sopravvivenza overall come principale indicatore di beneficio clinico per i pazienti e considerano 4 importanti parametri ad essa correlati: gli hazard ratios (HRs), il vantaggio in OS mediana, e gli incrementi proporzionali e assoluti in sopravvivenza a lungo termine. La combinazione di questi parametri contribuisce a definire il minimum clinically meaningful outcome (mCMO), che arbitrariamente potrebbe essere settato ad un livello alto, medio o basso in dipendenza del beneficio voluto.
I risultati del modello sono splittati accorpando i trials con nuovi farmaci in due categorie di beneficio: un primo gruppo che produce un beneficio limitato per molti pazienti (SMALL, es: antiangiogenici) vs un secondo nel quale il beneficio è maggiore ma limitato ad una piccola sottopopolazione (LARGE, es: trattamento target in pazienti molecolarmente selezionati).
Inoltre, il beneficio atteso viene modultato in base alla prognosi del setting di patologia considerato.
Per sviluppare il modello sono stati analizzati 43 differenti trials clinici (oltre 35.000 pazienti) condotti negli ultimi 15 anni che avessero riportato dati maturi in sopravvivenza overall (necessariamente endpoint primario o secondario del trial considerato).
Quando l'analisi è condotta su trials che hanno testato il beneficio di molecole "incrementaliste", solo 2 studi (cetuximab in pazienti con CRC avanzato KRAS wt pretrattati e bevacizumab in pazienti con carcinoma ovarico) raggiungerebbero la definizione di positività se l'asticella del mCMO fosse tarata al livello superiore; il numero degli studi favorevoli ovviamente aumenta abbassandone il livello.
Quando l'analisi è condotta su trials che hanno testato il beneficio di molecole che offrono un vantaggio in outcome maggiore, ma limitato a pochi pazienti, il quadro è ancora meno confortante: nessun trial sarebbe definito positivo se il mCMO fosse tarato al livello superiore.
Il take-home message del manoscritto è duplice.
Primo: nel valutare il beneficio di un nuovo farmaco testato in un trial clinico randomizzato è importante considerare non solo gli HRs ed il vantaggio in OS mediana, ma anche il beneficio assoluto e proporzionale in sopravvivenza a lungo termine. Mentre i primi due parametri descrivono bene il beneficio medio, gli ultimi due riflettono meglio il vantaggio (quantitativamente maggiore) ottenibile in una popolazione selezionata. Insieme, questi 4 parametri contribuiscono a definire il minimum clinically meaningful outcome (mCMO).
Secondo: se la soglia desiderata per il mCMO fosse troppo elevata, i trial "positivi" sarebbero pochissimi. In medio virtus stat?
In accordo alla filosofia del paper, chiederemmo però agli autori un "lowering the bar" for manuscript complexity...o il terzo capitolo metterà in seria difficoltà anche i revisori.