Miscellanea
Lunedì, 09 Settembre 2024

Terapie attive nel periodo di fine vita: un tema che merita attenzione.

A cura di Massimo Di Maio

Un gruppo austriaco contribuisce, con un’analisi retrospettiva, alla letteratura sulla frequenza di trattamenti tossici nel periodo immediatamente precedente la morte: un contesto dove spesso le scelte sono molto difficili. Lavori come questo non hanno lo scopo di etichettare come sbagliati i comportamenti, ma di stimolare la discussione su un tema clinicamente rilevante.

Le NS, Zeybek A, Hackner K, Gottsauner-Wolf S, Groissenberger I, Jutz F, Tschurlovich L, Schediwy J, Singer J, Kreye G. Systemic anticancer therapy near the end of life: an analysis of factors influencing treatment in advanced tumor disease. ESMO Open. 2024 Aug 29;9(9):103683. doi: 10.1016/j.esmoop.2024.103683. Epub ahead of print. PMID: 39214050.

La comunità oncologica è d’accordo nel ritenere opportuno che i pazienti affetti da tumore non ricevano trattamenti tossici quando sono vicini alla fine della vita. Si ritiene infatti che i trattamenti intrapresi in quel contesto comportino più rischi che benefici, con un impatto assolutamente negativo sulla qualità di vita.

Naturalmente, non per un deliberato accanimento terapeutico ma per la difficoltà di prevedere correttamente la prognosi, molti pazienti ricevono chemioterapia o altri trattamenti antitumorali attivi immediatamente prima di morire. Non esiste una soglia che separi in maniera oggettiva i trattamenti appropriati da quelli potenzialmente evitabili, ma in molti casi, nei lavori che hanno analizzato questo aspetto, si è scelta la soglia dei 30 giorni che precedono il decesso.

Un gruppo austriaco ha pubblicato sulle pagine di ESMO Open uno studio retrospettivo, condotto presso l’ospedale Universitario Krems, con lo scopo di descrivere la prevalenza del fenomeno dei trattamenti attivi nel periodo immediatamente precedente la fine della vita, provando a esplorare i fattori associati a un rischio maggiore o minore.

Sono stati inclusi nell’analisi i pazienti che avessero ricevuto una diagnosi di tumore solido e che fossero deceduti tra il 2017 e il 2021.

Gli autori hanno preso in considerazione, ai fini della descrizione della tempistica rispetto al decesso, non solo la chemioterapia ma tutti i trattamenti antitumorali attivi (inclusa l’immunoterapia, i farmaci a bersaglio molecolare e le rispettive combinazioni), ad eccezione della terapia ormonale.

Nei Metodi, gli autori specificano che alcuni tumori (mammella, prostata) sono sottorappresentati nella serie analizzata in quanto in larga parte seguiti presso altre strutture di riferimento, e altri tumori, come quelli dermatologici o cerebrali, non erano rappresentati in quanto competenza di altre strutture.

Lo studio è stato condotto sui dati di 685 pazienti. Di questi, 342 (pari al 49.9%) ha ricevuto un trattamento antitumorale attivo. Dei 342 pazienti sottoposti a trattamento antitumorale attivo, 143 (pari al 41.8%, e al 20.9% della popolazione complessivamente considerata nello studio) hanno ricevuto un trattamento attivo nei 30 giorni precedenti il decesso.

Complessivamente, il tempo mediano trascorso dall’ultima somministrazione di trattamento antitumorale attivo alla morte è stato pari a 44.5 giorni.

L’analisi dei fattori potenzialmente associati al rischio di ricevere un trattamento antitumorale attivo negli ultimi 30 giorni di vita ha evidenziato un’associazione significativa per i seguenti fattori:

  • Tipo di trattamento antitumorale (p< 0.001, per i farmaci a bersaglio molecolare odds ratio (OR) 5.09, intervallo di confidenza al 95% 2.26-11.48; per la combinazione di chemioterapia e farmaci a bersaglio molecolare OR 3.60, intervallo di confidenza al 95% 1.47-8.82; per l’immunoterapia OR 2.32, intervallo di confidenza al 95% 1.37-3.92);
  • L’assenza di attivazione di cure palliative (p=0.009, OR 1.86, intervallo di confidenza al 95% 1.16-2.96);
  • La mancata ammissione a reparto di cure palliative (p< 0.001, OR 2.70, intervallo di confidenza al 95% 1.67-4.35)
  • Un performance status ECOG compromesso (≥2) (p< 0.001, OR 3.35, intervallo di confidenza al 95% 1.93-5.83).

Sulla base dei risultati sopra sintetizzati, gli autori sottolineano che il rischio che un paziente oncologico riceva un trattamento attivo nelle ultime settimane di vita risulta significativamente associato a diversi fattori, tra cui il tipo di trattamento, la tempestività di riferimento alle cure palliative, il ricovero in un reparto di cure palliative, e il performance status.

Il lavoro pubblicato da ESMO Open discute un tema molto complesso, quello delle scelte terapeutiche per i pazienti vicini alla fine della vita. In tutti i lavori che affrontano questo argomento, la considerazione più ovvia è che la scelta “corretta” (vale a dire evitare trattamenti tossici nelle ultime settimane di vita) è definita post hoc, in quanto il medico non è necessariamente in grado di stimare con certezza l’aspettativa di vita di un paziente che sta visitando in corso di trattamento.

E’ sicuramente vero, peraltro, che in alcuni casi (performance status compromesso, scarsa risposta alle precedenti linee di terapia) il buon senso clinico imporrebbe di valutare la non indicazione a trattamenti attivi già al momento di iniziare o meno una nuova linea di trattamento. Questa decisione può rivelarsi particolarmente difficile e in alcuni casi richiede una lunga e complessa comunicazione con il paziente e con i suoi familiari. E’ molto più veloce, nei casi dubbi, iniziare una nuova linea di trattamento piuttosto che convincere il paziente dell’opportunità di rinunciare a trattamenti tossici e affidarsi alle sole cure di supporto.

Qualche anno fa, una survey promossa dal gruppo di AIOM giovani provò a indagare i fattori associati all’eventuale proposta di trattamenti cosiddetti “a oltranza”, vale a dire terapie di efficacia dubbia in pazienti che avessero già fallito precedenti linee standard di terapia. L’argomento è in larga parte sovrapposto al tema dell’articolo austriaco che stiamo commentando, anche se ovviamente il tema delle terapie inappropriate nelle ultime settimane di vita non riguarda solo i pazienti pretrattati ma anche quelli teoricamente candidati a una prima linea di terapia. Non iniziare un trattamento attivo al momento della diagnosi è ovviamente ancora più complesso rispetto a interrompere i trattamenti attivi dopo una o più linee di terapia.

Gli autori austriaci sottolineano l’importanza dell’attivazione delle cure palliative e della possibilità di accesso tempestivo a tali servizi. Non sorprende che tale opportunità sia associata a un minor rischio di morire in corso di terapie tossiche. Si tratta di un tema che merita la giusta attenzione anche nelle attività cliniche quotidiane nei nostri reparti e nei nostri day hospital.