Spesso si tende a considerare innocua la medicina complementare. Uno studio americano suggerisce però che i pazienti oncologici che la scelgono sono più a rischio di rifiutare le terapie standard, e questo può determinare un peggioramento della sopravvivenza.
Johnson SB, Park HS, Gross CP, Yu JB. Complementary Medicine, Refusal of Conventional Cancer Therapy, and Survival Among Patients With Curable Cancers. JAMA Oncol. Published online July 19, 2018. doi:10.1001/jamaoncol.2018.2487
In generale, si definisce alternativo qualsiasi trattamento che si propone in sostituzione al trattamento codificato dalla cosiddetta medicina “ufficiale” o “convenzionale” (ad esempio, la Multiterapia Di Bella).
Al contrario, si definisce complementare un trattamento non convenzionale che il paziente può ricevere in contemporanea al trattamento “ufficiale” (ad esempio i rimedi erboristici).
Proprio in ragione della suddetta definizione, molti trattamenti possono essere considerati alternativi o complementari a seconda dell’uso che il singolo paziente ne può fare: un trattamento complementare può diventare alternativo se il paziente rifiuta il trattamento convenzionale, anche se tale rifiuto non è esplicitamente dettato da chi propone la terapia complementare.
Sia i trattamenti alternativi che quelli complementari comportano dei potenziali rischi per i pazienti oncologici. I trattamenti alternativi possono causare un ritardo nell’inizio delle terapie di provata efficacia, oltre ad avere potenziali effetti collaterali. I trattamenti complementari, d’altro canto, potrebbero rivelarsi dannosi o per una tossicità diretta, o causando interazioni farmacologiche (e quindi modifiche dell’attività e della tossicità) con i farmaci standard.
E’ molto importante descrivere l’associazione tra la medicina complementare, l’aderenza ai trattamenti oncologici convenzionali e la sopravvivenza dei pazienti oncologici che scelgono di ricevere trattamenti complementari rispetto a quelli che non li ricevono. Tale associazione, delicata in qualunque setting di malattia oncologica, diventa cruciale quando i pazienti siano candidati a ricevere trattamenti potenzialmente associati a guarigione, come nei casi in cui la diagnosi avvenga in uno stadio precoce di malattia.
Obiettivi dello studio pubblicato da Johnson e Colleghi sulle pagine di JAMA Oncology erano:
Disegno di studio: studio osservazionale, retrospettivo.
Setting: Dati del National Cancer Database
Tipologia di pazienti: pazienti statunitensi diagnosticati con tumore della mammella, della prostata, del polmone o del colon-retto, in stadio potenzialmente guaribile (assenza di metastasi alla diagnosi), nel decennio compreso tra il gennaio 2004 e il dicembre 2013.
I gruppi di pazienti confrontati (vale a dire coloro che hanno dichiarato di affidarsi alla medicina complementare rispetto a un gruppo di pazienti che facevano ricorso solo alla medicina convenzionale) sono stati bilanciati per età, stadio clinico, punteggio di Charlson per la presenza di comorbidità, tipo di copertura assicurativa, etnia, anno di diagnosi e tipo di neoplasia.
Va sottolineato che, in questa analisi, la definizione di medicina complementare è molto generica: gli autori hanno scelto di considerare come “trattamento complementare” tutti I trattamenti prescritti / somministrati da personale non medico, in aggiunta a una terapia convenzionale (chirurgia, radioterapia, chemioterapia, terapia ormonale).
L’analisi si basa sui dati di 1901815 pazienti oncologici (258 pazienti esplicitamente classificati nel gruppo di medicina complementare, e I rimanenti 1901557 pazienti nel gruppo di controllo).
Dopo il matching eseguito per bilanciare le caratteristiche dei 2 gruppi, i 258 pazienti del gruppo “medicina complementare” sono stati confrontati, in rapporto 1:4, con 1032 controlli.
La scelta di affidarsi a terapie complementari è risultata più comune nelle donne, nei pazienti più giovani, con tumore della mammella o con tumore del colon, e nei pazienti caratterizzati da una condizione socio-economica più elevata.
I pazienti che avevano scelto di ricevere trattamenti complementari erano caratterizzati:
Il gruppo di pazienti che avevano scelto di ricevere trattamenti complementari ha avuto una sopravvivenza globale significativamente inferiore rispetto al gruppo di controlli, che come detto erano bilanciati per le principali caratteristiche cliniche e prognostiche.
Nel dettaglio, l’impiego di medicine complementari è risultato associato a una peggiore sopravvivenza a 5 anni: 82.2% (intervallo di confidenza al 95% 76.0%-87.0%) vs. 86.6% (intervallo di confidenza al 95% 84.0%-88.9%); p = 0.001.
Nel modello di analisi multivariata che NON includeva il rifiuto dei trattamenti convenzionali o il ritardo nell’inizio dei trattamenti convenzionali, il ricorso alle terapie complementari è risultato significativamente associato a una peggiore sopravvivenza (hazard ratio 2.08; intervallo di confidenza al 95% 1.50 - 2.90).
Tuttavia, nel modello di analisi che includeva il rifiuto dei trattamenti convenzionali o il ritardo nell’inizio dei trattamenti convenzionali, il ricorso alle terapie complementari non ha dimostrato un’associazione significativa con la peggiore prognosi (hazard ratio 1.39; intervallo di confidenza al 95% 0.83-2.33).
Lo studio di Johnson e colleghi è basato su un’analisi retrospettiva, con tutti I limiti che questo comporta. Peraltro, il risultato deve far riflettere: spesso si sottolinea la relativa “innocuità” delle terapie complementari in quanto, a differenza dei trattamenti alternativi, non pregiudicherebbero la chance terapeutica associata ai trattamenti standard.
Eppure, i risultati dello studio pubblicato su JAMA Oncology evidenziano che i pazienti che si affidano alle terapie complementari sono più a rischio di rifiutare i trattamenti convenzionali. Tale rifiuto è notevolmente maggiore, rispetto ai pazienti che non ricevono terapie complementari, sia per trattamenti impegnativi come la chirurgia e la chemioterapia, ma anche per trattamenti universalmente considerati nettamente favorevoli in termini di rapporto tra efficacia e tossicità, come la terapia ormonale.
Sembra quindi che il ricorso alle terapie complementari si associ ad una ridotta fiducia nell’efficacia delle terapie standard. L’analisi di sopravvivenza lancia un messaggio inquietante: il ricorso alle terapie complementari si associa ad una ridotta sopravvivenza rispetto a chi si affida alle sole terapie convenzionali, e l’analisi multivariata suggerisce che sia proprio il rifiuto del trattamento convenzionale a pregiudicare la prognosi.
Gli autori riconoscono, naturalmente, gli importanti limiti metodologici della propria analisi, sottolineando in particolare che la diffusione delle terapie complementari risulta molto probabilmente sottostimata.
Inoltre, la modalità di raccolta dei dati non ha consentito agli autori di descrivere nel dettaglio il tipo di terapia complementare effettivamente ricevuta, e quindi la variabile considerata nell’analisi “mette insieme”, in maniera sicuramente impropria, una serie di terapie molto diverse tra loro. Trattamenti a base di erbe ed estratti vegetali, vitamine e minerali, probiotici, medicina ayurvedica, medicina tradizionale cinese, omeopatia e naturopatia, tecniche di respirazione, yoga, Tai Chi, Qi gong, agopuntura, manipolazione chiropratica o osteopatica, meditazione, massaggi, preghiere, diete speciali, tecniche di rilassamento.
Senza dubbio, è difficile interpretare correttamente il reale effetto sulla sopravvivenza di trattamenti tra loro così diversi. Probabilmente, la chiave di lettura più saggia del lavoro è fornita dall’analisi multivariata, e dalle considerazioni sul rischio di rifiuto del trattamento convenzionale: indipendentemente dal tipo di terapia complementare, è il rifiuto del trattamento convenzionale a mettere a rischio la sopravvivenza dei pazienti.
Non va dimenticato che i pazienti inseriti nello studio erano affetti da una neoplasia diagnosticata in stadio potenzialmente guaribile, e la compromissione dell’efficacia del trattamento va letta come perdita della chance di guarigione.
Non si tratta di una condanna acritica delle terapie complementari, insomma (anche perché una condanna acritica sarebbe sbagliata), ma un chiaro monito a non rifiutare le terapie di provata efficacia.