Uno studio di popolazione americano analizza la prevalenza del distress psicologico in soggetti che hanno avuto personalmente a che fare con il tumore. Negli anni, l’uso di ansiolitici e antidepressivi raddoppia, soprattutto per donne con diagnosi prima dei 65 anni e con comorbidità. Ricordiamocelo, in Italia i pazienti guariti sono circa tre milioni.
Hawkins NA, et al. Use of Medications for Treating Anxiety and Depression in Cancer Survivors in the United States. J Clin Oncol 2016, epub ahead of print, 26th Oct.
Dopo una diagnosi di neoplasia maligna la vita cambia, inesorabilmente. Cambia per chi ha avuto una diagnosi di malattia un fase avanzata, che si deve attrezzare fisicamente ed emotivamente per affrontare una serie di cure. Ma per molti cambia anche se la diagnosi era di una malattia oncologica in fase precoce. Anche dopo la guarigione - infatti - rimane la cicatrice. Il distress psicologico, caratterizzato da uno stato di ansia, di paura per la possibile recidiva, di tristezza, e di calo del tono dell’umore. Inoltre, rimane il problema del recupero del proprio ruolo nella famiglia, nella società, e nel mondo lavoro. Se non adeguatamente trattato il distress psicologico impatta negativamente sulla qualità di vita fino addirittura a ridurne la durata (Stark T, et al. J Clin Oncol 2002).
Lo studio epidemiologico nordamericano analizza i dati del National Health Interview Survey (NHIS) raccolti tra il 2010 e il 2013, focalizzandosi in particolare su tre aspetti: 1) uso di farmaci; 2) caratteristiche sociodemografiche e 3) eventuale storia di malattia oncologica. Obiettivo dello studio era quello di indagare la prevalenza di distress psicologico e uso di farmaci psicotropi nella popolazione di lungosopravviventi, di esplicitare quali fossero le caratteristiche dei soggetti a maggior rischio e di comparare I risultati con quelli della popolazione non oncologica.
Poco meno di 50.000 soggetti (tra gli oltre 129.000 rispondenti al NIHS) avevano compilato anche il test chiamato disability module.
Come atteso, la larga maggioranza della popolazione non aveva un’anamnesi personale di neoplasia maligna (circa 45.000 soggetti, 95%), mentre dei 4.381 pazienti oncologici con neoplasia non cutanea, 559 erano in trattamento con ansiolitici o antidepressivi vs 2.483 pazienti non in trattamento.
Neoplasia mammaria e prostatica rappresentavano le categorie più frequenti, con rispettivamente il 22% e il 16% di soggetti inclusi.
Confrontati con i soggetti senza anamnesi di neoplasia, i pazienti guariti da un tumore avevano una probabilità doppia di ricevere una terapia psicotropa: 16.8% vs 8.6% di assunzione di ansiolitici (p<0.001), 14.1% vs 7.8% di assunzione di antidepressivi (p<0.001), 19.1% vs 10.4% di assunzione di uno dei due o entrambe le categorie di farmaci (p<0.001).
I pazienti in trattamento per disturbi d’ansia erano prevalentemente donne, di età inferiore ai 65 anni alla diagnosi, con assicurazione pubblica e con comorbidità. Tra i pazienti a maggior rischio di terapia con antidepressivi le caratteristiche erano simili, ma l’uso si associava anche allo stato maritale (più frequente utilizzo registrato tra le donne vedove, separate e divorziate).
Lo studio dimostra che l’incidenza di assunzione di ansiolitici e antidepressivi è doppia tra i pazienti guariti da una neoplasia maligna rispetto a quella registrata nella popolazione generale e individua alcune categorie a particolare rischio. Di notevole importanza ricordare che il 60% dei soggetti trattati assumeva entrambe le categorie di farmaci, anche per 10 anni dopo la diagnosi di neoplasia.
Si devono tuttavia segnalare i potenziali limiti di un’analisi basata su dati di questionari self-reported per utilizzo di farmaci utilizzati anche per altri scopi (ansiolitici per disturbi del sonno o per semplice tensione muscolare, antidepressivi per sindrome vasomotoria) e, talvolta, senza una chiara definizione diagnostica del disturbo ansioso-depressivo. Inoltre non era registrato se l’inizio dell’assunzione farmacologica fosse precedente o successivo alla diagnosi di neoplasia e se i pazienti si sottoponessero anche a terapie comportamentali o alternative/complementari (Bozza C, et al. Recenti Prog Med 2015). Tuttavia, lo studio ha il grande merito di ricordarci che è necessario un ponte per una concreta e fattiva collaborazione tra oncologi, psicologi e Medici di Medicina Generale in una visione olistica dei fabbisogni dei pazienti (Puglisi F, et al. Future Oncol 2016).