Miscellanea
Giovedì, 21 Dicembre 2017

Trombosi venosa profonda: si va in orale?

A cura di Giuseppe Aprile

Tromboembolismo venoso nel paziente oncologico: che fare? Il trial randomizzato mira a confrontare l'efficacia di edoxaban - inibitore orale del fattore Xa - vs la classica eparina sottocute.

Raskob GE, et al. Endoxaban for the treatment of cancer-associated venous thromboembolism. N Engl J Med 2017; epub ahead of print Dec 12.

Sebbene lo studio AMPLIFY abbia dimostrato l'equiefficacia e maggiore sicurezza di apixaban in pazienti non oncologici che sviluppano sindrome tromboembolica acuta (Agnelli G, et al. N Engl J Med 2013), lo standard di trattamento per il paziente neoplastico che sviluppa malattia tromboembolica acuta (indipendentemente dal fatto che sia sintomatica o meno) rimane l'eparina a basso peso molecolare.

Questo evento, una complicazione frequente nei pazienti oncologici, richiede un trattamento con eparina sottocutanea per circa sei mesi, non essendo dimostrato il beneficio del prolungamento della terapia per un anno.

In questo contesto, gli autori hanno disegnato un trial di fase III prospettico, aperto, di non-inferiorità, per confrontare le due terapie: deltaepatina 200 UI/kg per 1 mese seguita dallo stesso trattamento a dose di 75 UI/Kg di peso vs deltaeparina 200 UI/Kg per 5 gg seguito da edoxaban alla dose di 60 mg in unica somministrazione orale diaria. Il trattamento, nel complesso, doveva durare dai 6 ai 12 mesi in entrambi i bracci, per consentire anche di verificare l'eventuale impatto della profilassi prolungata.

Obiettivo primario dello studio, coerentemente a quanto riportato in altri trial di disegno simile, era un endpoint composto che valutava l'incidenza di recidiva dell'evento tromboembolico e di sanguinamento maggiore nei 12 mesi successivi alla randomizzazione, indipendentemente dalla effettiva durata del trattamento.

Lo studio prevedeva il monitoraggio della clearence della creatinina e del valore piastrinico; la dose di edoxaban era ridotta al 50% in caso di clearence inferiore a 50 mL/min, peso inferiore ai 60 Kg o simultanea assunzione di inibitori della p-gp.

Da notare che in Italia il principio attivo è già commercializzato con indicazioni terapeutiche specifiche: A) prevenzione dell’ictus e dell’embolia sistemica nei pazienti adulti affetti da fibrillazione atriale non valvolare, con uno o più fattori di rischio, quali insufficienza cardiaca congestizia, ipertensione, età > 75 anni, diabete mellito, precedente ictus o attacco ischemico transitorio; B) trattamento della trombosi venosa profonda (TVP) e dell’embolia polmonare (EP) e prevenzione delle recidive di TVP ed EP negli adulti.

Nella analisi intention-to-treat sono stati inclusi 1.046 dei 1.050 pazienti randomizzati.

Nei due bracci di trattamento i pazienti avevano età mediana di circa 64 anni, presenza di malattia metastatica nel 53% dei casi, ECOG PS 0 vs 1 vs 2 egualmente distribuito tra i bracci e una simile incidenza del numero di fattori di rischio basali per sanguinamento.

Nel braccio con edoxaban il numero di eventi osservati era molto simile a quello riportato nel braccio standard (rispettivamente 67/522, 12.8% vs 71/524, 13.5% HR 0.97, 95%CI 0.70-1.36 con p di non inferiorità 0.0006 e p di superiorità 0.87).

Il tasso di recidive di eventi tromboembolici è stato di 7.9% nel braccio sperimentale vs 11.3% in quello standard (differenza assoluta in rischio -3.4%, 95%CI -7.0-0.2); viceversa, il tasso di sanguinamenti maggiori era lievemente più alto per i pazienti che riceveveano anticoagulante orale (6.9% vs 4%, differenza assoluta in rischio 2.9% 95%CI 0.1-5.6).

I dati dello studio Hokusai VTE Cancer dimostrano una sostanziale non inferiorità dei due trattamenti per pazienti con tromboembolismo acuto (sintomatico o meno): nella scelta terapeutica andrà tuttavia tenuto in conto il maggiore rischio di recidiva con l'uso di epatina sottocutanea ed il maggiore rischio di sanguinamento con edoxaban. Maggiore comodità, naturalmente, con il trattamento orale a dose fissa.

Da ricordare inoltre che edoxaban aveva già dimostrato un miglior profilo di efficacia e safety rispetto alla warfarina in una popolazione simile di pazienti (Raskob GE, et al. Lancet Hematol 2016).