Pubblicati in esteso i dati del trial GOG-0262 che ha confrontato una chemioterapia standard somministrata ogni 3 settimane vs una chemioterapia settimanale in donne con neoplasia ovarica avanzata. Il trattamento dose-dense è davvero superiore?
Chan JK, et al. Weekly vs. Every-3-Week Paclitaxel and Carboplatin for Ovarian Cancer. N Engl J Med 2016;374:378-48.
Se nel carcinoma ovarico la terapia dose-dense settimanale sia superiore a quella convenzionale somministrata ogni tre settimane è oggetto di controversia.
Nello studio giapponese JGOG 3016 la terapia dose-dense ha dimostrato di essere superiore a quella standard in termini di PFS e OS (Katsumata N, et al. Lancet 2009 e Lancet Oncol 2014). Nell'esperienza italiana del gruppo MITO (trial MITO-7, Pignata S, et al. Lancet Oncol 2014) non si notava una sostanziale differenza tra il regime tradizionale e quello settimanale. Nel frattempo, i dati dello studio ICON7 (in analogia a quelli del GOG-0218 dimostrano un vantaggio in PFS per la combinazione del bevacizumab con la doppietta standard di carboplatino e paclitaxel in donne con nuova diagnosi di malattia avanzata.
Da queste premesse muove lo studio americano, sponsorizzato da NCI e Genentech, un trial randomizzato, open-label, di fase 3 che ha randomizzato 692 pazienti non pretrattate (carcinoma ovarico in stadio III e IV) a ricevere uno dei segeunti trattamenti ev:
paclitaxel 175 mg/mq q21 + carboplatino AUC 6 giorno 1 q21 +/- bevacizumab 15 mg/Kg ogni 21 gg
paclitaxel 80 mg/mq gg 1, 8, 15 + carboplatino AUC 6 giorno 1 q21 +/- bevacizumab 15 mg/Kg ogni 21 gg
In entrambi i casi il trattamento con l'antiangiogenico era avviato dal ciclo 2 e proseguito fino alla progressione o a tossicità, anche dopo il sesto ciclo di terapia.
Endpoint primario dello studio era la PFS (il disegno statistico prevedeva che la terapia dose-dense potesse ridurre il numero di progressioni o morti del 25%); le pazienti erano stratificate per PS basale, stadio secondo FIGO, opzione di ricevere bevacizumab e finalità neoadiuvante del trattamento. La progressione era definita da criteri radiologisi RECIST 1.1 ovvero da deterioramento clinico o da incremento del Ca 125 con criteri standardizzati.
Nello studio, il 97% delle pazienti incluse aveva una neoplasia in stadio III o IV e nell'80% dei casi di origine ovarica (il 20% delle pazienti aveva malattia tubarica o peritoneale); l'84% delle pazienti ha ricevuto anche bevacizumab, l'opzione neoadiuvante era indicata nel 13% delle pazienti.
Nella analisi intention-to-treat, condotta dopo 528 eventi, non si sono documentate differenze significative tra le due strategie terapeutiche nell'endpoint primario: la PFS mediana è stata di 14.7 mesi nel braccio dose-dense vs 14 mesi in quello tradizionale (HR 0.89, 95%CI 0.74-1.06, p=0.18).
Nemmeno in OS si notavano differenze: OS mediana di 40.2 mesi per il trattamento con paclitaxel settimanale vs 39.0 mesi per quello con paclitaxel trisettimanale (HR 0.94, 95%CI 0.72-1.23).
Da notare che mentre il beneficio del trattamento settimanale non emergeva nelle donne che ricevevano antiangiogenico, le pazienti che non riceveveano benavcizumab (16% circa) riportavano un PFS prolungata di quasi 4 mesi con il trattamento dose-dense (14.2 mesi vs 10.3 mesi, HR 0.62, 95%CI 0.40-0.95, p=0.03); il differente effetto nei due gruppi era supportato dalla significatività del test di interazione.
In termini di effetti collaterali, la somministrazione del paclitaxel settimanale era gravata da una maggiore incidenza di anemia severa (36% vs 16%) e neuropatia sensoriale di grado 2-4 (26% vs 18%), ma da una minore incidenza di tossicità midollare sulla serie bianca (neutropenia grado 3 o 4 72% vs 83%), pur senza differissero in modo significativo le neutropenie febbrili.
In sintesi, lo studio dimostra che in generale non vi è una sostanziale differenza tra lo schema dose-dense e quello convenzionale, che quindi ad oggi rimane lo standard terapeutico.
Sebbene non fosse prevista una randomizzazione al bevacizumab (l'analisi lo prevedeva come fattore di stratificazione, la scelta era basata su una decisione clinica dopo discussione con la paziente), i risultati del trial, in accordo a quelli di precedenti studi, suggeriscono lo schema dose-dense possa essere di vantaggio nelle pazienti per le quali non viene sposata la strategia antiangiogenica. A conferma dei risultati, rimaniamo in attesa dei dati dell'ICON 8B e di una convincente analisi di cost-effectiveness.