Le neoplasie timiche sono classificate tra I tumori rari, e I risultati ottenuti con I trattamenti medici non sono ottimali… Ora uno studio di fase II dimostra una discreta attività del sunitinib, in pazienti che avevano fallito la chemioterapia.
Thomas A, Rajan A, Berman A, Tomita Y, Brzezniak C, Lee MJ, Lee S, Ling A, Spittler AJ, Carter CA, Guha U, Wang Y, Szabo E, Meltzer P, Steinberg SM, Trepel JB, Loehrer PJ, Giaccone G. Sunitinib in patients with chemotherapy-refractory thymoma and thymic carcinoma: an open-label phase 2 trial. Lancet Oncol. 2015 Jan 12.
I risultati ottenuti con i trattamenti farmacologici nei pazienti affetti da neoplasia epiteliale del timo (timomi e carcinomi del timo) non sono soddisfacenti, e le opzioni terapeutiche dopo il fallimento della chemioterapia contenente platino sono alquanto limitate.
Il sunitinib è un inibitore multitarget di tirosino-chinasi, impiegato da diversi anni nel trattamento del carcinoma renale. Alcune evidenze precliniche suggerivano un ruolo rilevante dell’angiogenesi nella patogenesi delle neoplasie timiche, caratterizzate da elevata espressione di alcune molecole (tra cui KIT, PDGF e PDGFR) potenziali target diretti o indiretti del sunitinib.
Sulla base di tali evidenze, gli autori hanno condotto uno studio di fase II, in aperto, con sunitinib somministrato come agente singolo, nella dose e schedula comunemente impiegata (50 mg al giorno per 4 settimane, seguite da 2 settimane di pausa).
Erano eleggibili pazienti con timoma o carcinoma timico, che avessero fallito una linea di chemioterapia contenente platino, con performance status non peggiore di 2.
Obiettivo primario dello studio era la proporzione di risposte obiettive, descritta separatamente nei pazienti affetti da timoma e nei pazienti affetti da carcinoma timico.
Complessivamente, sono stati inseriti nello studio 41 pazienti, 25 dei quali con diagnosi di carcinoma timico (di cui 23 eleggibili per la valutazione dell’endpoint primario) e i rimanenti 16 con diagnosi di timoma.
Nei 23 pazienti con carcinoma timico sono state osservate 6 risposte parziali (pari ad una percentuale del 26%, intervallo di confidenza al 95% 10.2% - 48.4%). Altri 15 pazienti (65%) hanno ottenuto una stabilizzazione di malattia.
Nei 16 pazienti con timoma, sono state invece osservate una sola risposta parziale (6%, intervallo di confidenza al 95% 0.2% - 30.2%) e 12 stabilizzazioni di malattia.
Le tossicità severe più frequentemente osservate con il sunitinib sono state la linfocitopenia (20%), la fatigue (20%) e la stomatite (20%). In cinque pazienti, inoltre, è stata descritta una riduzione della frazione di eiezione, severa in 3 casi (8%). Dei 3 pazienti morti durante il trattamento, in un caso si era trattato di morte per arresto cardiaco potenzialmente correlato al trattamento.
Il lavoro pubblicato su Lancet Oncology, pur da considerare preliminare, è interessante in quanto presente dati ottenuti in una patologia nella quale, finora, i risultati prodotti dai trattamenti farmacologici non sono stati particolarmente incoraggianti. Il sunitinib ha invece prodotto una percentuale interessante di risposte obiettive e di stabilizzazioni di malattia, in un setting nel quale, fallita la chemioterapia con platino, non ci sono molte alternative terapeutiche da offrire.
In particolare, la percentuale di risposte obiettive documentate con sunitinib è stata sufficientemente elevata nei pazienti con carcinoma timico, portando a soddisfare formalmente il criterio predefinito per giudicare positivo il risultato. Al contrario, una sola risposta obiettiva è stata osservata nel sottogruppo di pazienti con timoma, che quindi sembra essere meno sensibile all’attività del farmaco.
Molti pazienti, peraltro, hanno dovuto ricorrere a riduzioni di dose, facendo ipotizzare che una schedula alternativa di sunitinib potrebbe essere meglio tollerata rispetto a quella classica impiegata nello studio.
Naturalmente lo studio è caratterizzato da una bassa numerosità e, anche in ragione dell’endpoint di attività, i risultati sono da considerare preliminari. Gli autori stessi sottolineano, nella discussione, che il risultato pubblicato su Lancet Oncology merita ulteriori studi su una casistica più numerosa di pazienti. Rimane il fatto che questo studio ha dimostrato, per la prima volta, l’incoraggiante attività di un farmaco a bersaglio molecolare in questa neoplasia rara e a prognosi sfavorevole.