I pazienti affetti da tumori rari, in molti casi, hanno meno opzioni terapeutiche disponibili nella pratica clinica e meno studi clinici a cui partecipare. Un’esperienza statunitense indica nella medicina di precisione una strategia percorribile e promettente.
Shumei Kato, Kellie Kurasaki, Sadakatsu Ikeda, Razelle Kurzrock. Rare Tumor Clinic: The University of California San Diego Moores Cancer Center Experience with a Precision Therapy Approach. The Oncologist first published on October 16, 2017; doi:10.1634/theoncologist.2017-0199
A differenza dell’approccio tradizionale, che prevedeva per le sperimentazioni cliniche un criterio di inclusione basato sulla sede anatomica di origine del tumore primitivo, si è recentemente sviluppato un filone di sperimentazione cosiddetto “histology agnostic”, vale a dire che l'inclusione nello studio è basata sulla presenza di una specifica caratteristica molecolare delle cellule tumorali, indipendentemente dalla sede anatomica di origine.
E’ notizia di qualche mese fa la prima approvazione di un farmaco antitumorale “histology agnostic” da parte di un’autorità regolatoria, con l’autorizzazione all'impiego di pembrolizumab da parte della Food and Drug Administration statunitense per tutti i tumori caratterizzati dalla presenza di instabilità dei microsatelliti / alterazione dei geni del riparo, indipendentemente dalla sede del tumore primitivo (vedi in bibliografia il link al comunicato stampa FDA).
In questo scenario in evoluzione, molto interessante è la recente pubblicazione, su The Oncologist, dell’esperienza della Rare Tumor Clinic, condotta dall’University of California San Diego Moores Cancer Center nei pazienti affetti da tumori rari. E' ben noto come questi ultimi, nella maggior parte dei casi, abbiano meno opzioni terapeutiche di provata efficacia e disponibili nella pratica clinica, e anche un minor numero di sperimentazioni cliniche disponibili.
Nel lavoro, gli autori presentano i risultati ottenuti nei primi 40 pazienti afferiti alla Rare Tumor Clinic. In ciascun paziente, la valutazione molecolare basale si basava su analisi di next-generation sequencing (NGS) condotte sul tessuto tumorale o sul DNA tumorale circolante, oltre che su analisi di espressione proteica valutata mediante immunoistochimica. Quando possibile, il trattamento sperimentale veniva scelto in base all'alterazione molecolare riscontrata (trattamento "matched").
La casistica di 40 pazienti descritti nell’analisi comprendeva sia pazienti con tumori solidi rari, sia pazienti con neoplasie ematologiche rare. L’età mediana dei pazienti inclusi era pari a 58 anni (range, 31 - 78), il 70% erano donne; i pazienti avevano ricevuto un numero mediano di precedenti linee di terapia sistemica pari a 2 (range, 0 - 7). Tra i tumori solidi, la diagnosi più comune era quella di sarcoma (7 pazienti), e complessivamente i 40 pazienti inseriti nello studio avevano 20 distinte diagnosi, tra cui alcune patologie “ultra-rare”, come ad esempio ameloblastoma, carcinoma ampollare, tumore del sacco vitellino a sede epatica. Peraltro, sono state incluse nell'analisi anche alcune pazienti affette da tumore ovarico sieroso di alto grado.
Complessivamente, una o più alterazioni molecolari sono state identificate nel 97% dei casi in cui era stata eseguita NGS su tessuto tumorale (32 su 33) e nel 45% dei casi in cui era stata eseguita NGS su DNA tumorale circolante nel plasma (15 su 33). Nel complesso, 37 pazienti su 40 (pari al 92.5%) presentavano una o più alterazioni molecolari bersaglio di farmaci, a livello genomico (n=32) o a livello di espressione proteica (n=27).
Complessivamente, 21 pazienti su 40 (pari al 52.5%) hanno ricevuto una terapia “matched”, vale a dire corrispondente all’alterazione molecolare identificata nello screening. Oltre metà di tali casi (11/21, pari al 52%) hanno ottenuto una prolungata stabilizzazione di malattia (durata superiore a 6 mesi, n=3), oppure risposta parziale (n=3) oppure risposta completa (n=2).
Analizzando un sottogruppo di pazienti nei quali era disponibile il dato relativo alla precedente linea di trattamento, non “matched”, la terapia “matched” ha prodotto una sopravvivenza libera da progressione significativamente migliore rispetto alla precedente linea (hazard ratio 0.26, intervallo di confidenza al 95% 0.10 – 0.71, p = 0.008).
Commentando i risultati presentati, gli autori sottolineano in primis la fattibilità di uno screening molecolare basato su tecniche di NGS e di immunoistochimica in pazienti affetti da tumori rari. Viene anche sottolineato, con soddisfazione, il risultato ottenuto in termini di controllo di malattia, grazie alle terapie “matched” rispetto alle alterazioni molecolari, in un’elevata percentuale dei casi.
Sulla base dei risultati ottenuti, gli autori invocano la conduzione di più studi di “medicina di precisione” nei pazienti affetti da tumori rari.
Quella presentata da Kato e colleghi sulle pagine di The Oncologist è un’esperienza di ricerca sicuramente interessante, che ha prodotto, almeno sui 40 pazienti presentati nell’analisi, un risultato molto promettente. Ma accanto alle luci ci sono sicuramente delle ombre metodologiche e delle difficoltà "applicative": i numeri dei pazienti sono piccoli, e la casistica presentata è così clamorosamente eterogenea, in termini di tipi di neoplasia, che diventa difficile ipotizzare che studi di questo tipo possano portare a implicazioni pratiche di tipo regolatorio.
Siamo perfettamente consapevoli che questa critica corrisponde esattamente alla ragione per cui, fino ad ora, è stato così difficile introdurre nuove strategie terapeutiche in queste neoplasie, e quindi una critica eccessivamente “conservatrice” rischia di non cogliere la potenziale innovazione e le opportunità insite nel modello proposto.
Non senza difficoltà metodologiche e pratiche, la medicina personalizzata sarà una risorsa importante per i pazienti affetti da tumori rari.