Ha il fascino orientale, questo ATTRACTION-2, il trial che testa il ruolo dell'immunoterapia (vs placebo) in 500 pazienti con neoplasia gastrica avanzata resistente a due o più linee di terapia. Ma in occidente funzionerà?
Kang Y-K, et al. Nivolumab in patients with advanced gastric or gastro-oesophageal junction cancer refractory to, or intolerant of, at least two previous chemotherapy regimens (ONO-4538-12, ATTRACTION-2): a randomised, double-blind, placebo-controlled, phase 3 trial. Lancet 2017, epub Oct 5th.
Sebbene un quarto dei pazienti sia potenzialmente in grado di proseguire la strategia terapeutica, rimane da stabilire il ruolo e il reale valore della terza linea di trattamento in pazienti con adenocarcinoma gastrico avanzato. L'immunoterapia ha una potenziale applicazione in questa patologia, dove l'espressione di PD-L1 (30-40% dei casi) si associa alla profondità di invasione nella parete, l'estensione linfonodale e una sopravvivenza mediana ridotta.
Lo studio orientale di fase 3, controllato e in doppio cieco, randomizza pazienti trattati con almeno due linee di chemioterapia sistemica (ma oltre un terzo dei pazienti ne aveva ricevute almeno 4) a nivolumab alla dose di 3 mg/Kg ev ogni due settimane ovvero placebo. La randomizzazione, effettuata con un interactive web response system, era 2:1 per consentire l'esposizione al farmaco ad un maggior numero di pazienti. Fattori di stratificazione del trial erano il Paese di origine (Giappone, Corea del Sud o Taiwan) il PS secondo ECOG (0 vs 1) e il numero delle sedi metastatiche (minore di 2 vs 2 o superiore). Endpoint primario dello studio era la sopravvivenza overall nella popolazione intention-to-treat; endpoint secondari indicatori di efficacia (PFS, ORR, TTR, DCR) e sicurezza; prevista anche una analisi esploratoria di biomarkers.
In totale, 330 pazienti sono stati randomizzati al braccio con nivolumab vs 163 al placebo; i risultati sono stati presentati dopo un follow-up mediano di circa 8.5 mesi (ridotto, ma sufficiente considerato il setting di trattamento).
Età mediana dei pazienti era di circa 60 anni e in entrambi i bracci l'80% dei soggetti inclusi aveva una neoplasia gastrica e il 70% un ECOG PS di 1. Mentre l'esposizione ai chemioterapici era molto alta (in entrambi i bracci la totalità dei pazienti inclusi aveva ricevuto fluoropirimidine e platinanti, l'85% taxani e il 75% irinotecan), solo il 10% dei pazienti aveva ricevuto ramucirumab.
La sopravvivenza mediana è risultata di poco maggiore nel braccio trattato con l'immunoterapico (5.2 mesi vs 4.1 mesi, HR 0.63, 95%CI 0.51-0.78, p<0.001), sebbene fosse interessante notare una significativa differenza di sopravvivenza a 12 mesi dalla random (26% vs 11%) a favore della terapia sperimentale. La PFS mediana era sostanzialmente identica (1.6 mesi vs 1.4 mesi) sebbene il tasso di non progressione a 12 mesi favorisse in modo simile il braccio sperimentale (7.5% vs 1.5%).
Non si registravano segnali inattesi di tossicità: gli eventi avversi di grado 3-4 erano riportati nel 10% di pazienti esposti a nivolumab vs 4% di pazienti trattati nel braccio con placebo.
Lo studio è certamente interessante, ma analizza una popolazione completamente orientale, nella quale caratteristiche biologiche e andamento della malattia non consentono il trasferimento dei dati a soggetti di altra origine geografica. Manca, inoltre, l'informazione dell'efficacia del trattamento in sottogruppi molecolari specifici.
Si apre la strada dell'immunoterapia nel carcinoma gastrico (Bonotto M, et al. Immunotherapy for gastric cancers: emerging role and future perspectives. Expert Rev Clin Pharmacol. 2017), ma attendiamo la pubblicazione in extenso della coorte esofago-gastrica del CheckMate 032, che testa nivolumab +/- ipilimumab in pazienti chemiorefrattari di etnia caucasica, e quella del Keynote 059, che valuta efficacia e sicurezza di pembrolizumab in una simile coorte di pazienti. Sarà dunque Occidentali's karma?