Patologia gastrointestinale
Mercoledì, 01 Dicembre 2021

CARACAS: dai peggiori bar, alle migliori oncologie

A cura di Giuseppe Aprile

Il trattamento del carcinoma squamoso della regione anale in stadio avanzato prevede poche opzioni in seconda linea. Gli investigatori italiani del GONO testano in uno studio di fase II randomizzato l’utilizzo di un PD-L1 inibitore (avelumab) eventualmente associato al cetuximab.

 
Lonardi S, et al. Randomized phase II trial of avelumab alone or in combination with cetuximab for patients with previously treated, locally advanced, or metastatic squamous cell anal carcinoma: the CARACAS study. J Immunother Cancer. 2021 Nov;9(11):e002996

Il carcinoma squamoso dell’ano si configura come una malattia infrequente (2-3 % di tutta la patologia oncologica gastrointestinale), ma particolarmente aggressiva. Il trattamento di questa malattia in setting avanzato (localmente avanzato non resecabile/recidivo oppure con metastasi a distanza) prevede fondamentalmente tre possibilità di trattamento di combinazione:

1) il trattamento classico con cisplatino e fluorouracile;

2) la associazione di carboplatino e paclitaxel, dimostrata sostanzialmente equiefficace al trattamento standard in un recente studio internazionale (Rao S, et al. J Clin Oncol 2000); ovvero

3) la terapia a tre farmaci con lo schema DCF, ristretta tuttavia a pazienti in ottimo performance status (Kim S, et al. Lancet Oncol 2018).

Tuttavia, quando si assiste ad una progressione della malattia le opzioni terapeutiche scarseggiano, tanto che non esiste una linea di condotta condivisa tra gli esperti. In questo difficile setting gli autori italiani disegnano e conducono lo studio CARACAS, un trial di fase II randomizzato (non comparativo) che arruola i pazienti a ricevere una terapia con avelumab, inibitore di PD-L1, ovvero la combinazione di avelumab e cetuximab. Il razionale biologico per sviluppare la combinazione in questa patologia si fonda sulla frequente infezione da HPV che renderebbe i tumori più sensibili all’immuoterapico, l’attivazione di EGFR causata dall’espressione della proteina E5 associata ad HPV e la relativa infrequenza di mutazioni di RAS. Inoltre, la ADCC esercitata da cetuximab sulle cellule tumorali è mediata da cellule NK, che possono rilasciare interferone gamma potenziando l’espressione di PD-L1 sulle cellule tumorali e facilitando la sinergia tra i due farmaci.

I due bracci di trattamento prevedevano nel braccio di monoterapia avelumab alla dose di 10 mg/Kg ev ogni due settimane e in quello di associazione avelumab alla stessa dose combinato a cetuximab 500 mg/mq sempre somministrato ev ogni 2 settimane.

Endpoint primario dello studio, disegnato come un “pick the winner” era il tasso di risposta, necessitando almeno 4 risposte su 27 per definire positivo il risultato del trial secondo il modello Mini-Max di Simon’s 2 stage, con una valutazione indipendente dei due bracci. Endpoint secondari erano la PFS, la sopravvivenza overall e la safety.

In meno di un anno sono stati screenati 60 pazienti nei 17 centri partecipanti alla sperimentazione (30 randomizzati per braccio, tutti inclusi nella analisi ITT). Nei due bracci vi era uno sbilanciamento per il genere femminile nel braccio di monoterapia (80% vs 57%) e una maggiore frequenza di metastasi a distanza nel braccio di combinazione (90% vs 73%). In entrambi i bracci di trattamento la percentuale di pazienti metastatici alla diagnosi era simile (40%) e il 90% dei pazienti era HPV+.

Il numero di pazienti in risposta sono stati 3/30 nel braccio A (10%) vs 5/30 (17%) nel braccio B, con conferma centralizzata in cieco della risposta radiologica.

Al follow-up maturo (circa 27 mesi), PFS e OS mediane nel braccio con solo avelumab erano di 2 e 14 mesi, quelle nel braccio avelumab-cetuximab erano 4 e 8 mesi.

Prima di tutto un plauso al gruppo GONO e ai molti colleghi oncologi italiani coinvolti nella sperimentazione in una patologia rara e di difficile trattamento.

Nel trial CARACAS, la combinazione di avelumab e cetuximab come terapia di seconda linea per pazienti con carcinoma squamoso della regione anale raggiunge l’endpoint di interesse stabilito a priori, con un tasso di risposta che sfiora il 20%, un controllo di malattia nel 60% dei pazienti di durata mediana superiore ai 4,5 mesi.

Curioso tuttavia notare come la PFS mediana sia doppia nel braccio a due farmaci rispetto a quello con sola immunoterapia (4 mesi vs 2 mesi) mentre la sopravvivenza mediana vada invece in verso opposto, con una durata molto più breve per la terapia di combinazione (8 mesi vs 14 mesi). Sebbene gli autori ragionino sulla possibile influenza di un maggior numero di donne nel braccio con solo avelumab e critichino la sopravvivenza mediana come solido endpoint valutabile in un trial con un modesto sample-size che testa immunoterapia, non vi sono differenze in termini di trattamenti post-progressione. La verità è che “i dati sono i dati” e la spiegazione dell’inconsistenza interna rimanga poco chiara.

Il trial CARACAS rivoluziona la pratica clinica? No, ma offre uno spunto di riflessione su una nuova terapia da poter considerare per pazienti selezionati con carcinoma squamoso dell’ano avanzato in progressione a un primo trattamento. Nell’attesa che le analisi molecolari possano aiutare il clinico a meglio selezionare i candidati al trattamento immunoterapico, attendiamo i dati del trial InterAACT2 che testa in prima linea la combinazione di carbotaxolo +/- retifanlimab.