Pubblicato l’update dello studio CROSS, che definisce il nuovo standard terapeutico: il trattamento chemioradioterapico preoperatorio riduce il rischio di ricaduta locale e prolunga la sopravvivenza overall.
Shapiro J, et al. Neoadjuvant chemoradiotherapy plus surgery versus surgery alone for oesophageal or junctional cancer (CROSS): long-term results of a randomised controlled trial. Lancet Oncol 2015, epub ahead of print Aug 6
Negli ultimi 15 anni, il notevole investimento nel cercare di migliorare l’outcome a lungo termine di pazienti con carcinoma esofageo aveva dato pochi frutti: né la sola chemioterapia né il trattamento combinato preoperatorio avevano avuto grande successo. Almeno fino al 2012, quando appare sul N Engl J Med il primo report dello studio CROSS (ChemoRadiotherapy for Oesophageal cancer followed by Surgery Study) nel quale si dimostra a un follow-up mediano di 45 mesi un beneficio assoluto di circa il 15% in termini di sopravvivenza a 3 anni.
Nel lavoro recentemente pubblicato su Lancet Oncol sono riportati i dati a lungo termine dello studio CROSS e i risultati per gli endpoint secondari.
I pazienti, arruolati nello studio da 5 ospedali accademici e 3 ospedali non accademici ad alto volume, erano randomizzati da a ricevere sola chirurgia ovvero chirurgia preceduta dal trattamento multimodale con 5 cicli settimanali di carboplatino (AUC 2) e paclitaxel (50 mg/mq) combinati a radioterapia (41.4 Gy in 23 frazioni di 1.8 Gy per 5 giorni a settimana).
I fattori prognostici erano ben bilanciati nei due gruppi di trattamento.
Endpoint primario dello studio era la sopravvivenza overall nell’analisi intention-to-treat; endpoint secondari la PFS e il pattern di ricaduta della malattia (locale vs sistemico).
I pazienti inclusi avevano specifiche caratteristiche, che devono essere tenute in considerazione: età mediana 60 anni (ma attenzione al range: il paziente più anziano incluso nello studio ne aveva 67), ottimo PS (0 nell’80% dei pazienti), istologia adenocarcinoma nel 75% dei casi, tumore anatomicamente localizzato nel terzo inferiore o nella giunzione nel 80% dei pazienti, cT3 nell’80% dei casi, linfonodi positivi nei due terzi dei casi.
I dati a lungo termine, presentati dopo un follow-up mediano di 84 mesi, non lasciano spazio a dubbi: il trattamento multimodale migliora l’outcome.
sopravvivenza overall mediana: 48.6 mesi vs 24 mesi (HR 0.68 95%CI 0.53-0.88, p=0.003), con un number needed to treat di 7 per prevenire un decesso a 5 anni.
PFS mediana: 37.7 mesi vs 16.2 mesi (HR 0.64, 95%CI 0.49-0.82, p=0.0002)
Da notare che i risultati, sia in termini di OS sia di PFS, erano confermati in entrambi gli istotipi di malattia. In termini di sopravvivenza overall, il trattamento preoperatorio riduceva il rischio di morte del 52% nei pazienti con carcinoma squamoso e del 27% in quelli con istologia ghiandolare.
Inoltre, il trattamento chemioradioterapico neoadiuvante produceva un minor tasso di recidiva locoregionale (22% vs 38%, HR 0.45 95%CI 0.30-0.66), a distanza (39% vs 48%, HR 0.63 95%CI 0.46-0.87) e overall.
In linea con i dati della metanalisi di Sjoquist (Lancet Oncol 2011), il messaggio dello studio è chiaro: il trattamento chemioradioterapico preoperatorio migliora i risultati della chirurgia nei pazienti con carcinoma dell’esofago e della giunzione gastroesofagea.
Tuttavia una riflessione sull’estensibilità dei risultati dello studio CROSS nella pratica clinica è d’obbligo: a chi può essere proposto il trattamento? Solo a pazienti giovani, in ottime condizioni generali e con neoplasia del terzo inferiore?
Inoltre, rimane da stabilire se il trattamento preoperatorio abbia un valore clinico nei pazienti con neoplasia meno estesa (T1-T2), se vi sia un beneficio aggiunto dalla radioterapia per le neoplasie con istotipo ghiandolare nelle quali la sola chemioterapia porta a vantaggi simili (es: MAGIC trial), e se l’inusuale schema antiblastico proposto possa essere sostituito dalla più comune associazione di cisplatino e 5-FU (trial NCT02359968 in corso).