In tema di chirurgia rettale, la pratica clinica ha anticipato l’evidenza scientifica. Mentre negli ultimi dieci anni la chirurgia laparoscopica ha progressivamente sostituito quella open, la conferma dell’equivalenza delle due tecniche, supportata da un robusto studio randomizzato di fase III, arriva solo ora.
Bonjer HJ et al. Randomized Trial of Laparoscopic versus Open Surgery for Rectal Cancer. N Engl J Med 2015;372:1324-32, epub April 2, 2015
Quattro importanti passi avanti sono stati fatti nella chirurgia colorettale negli ultimi 30 anni.
Il primo è stato l’introduzione della total mesorectal excision (TME, 1986) che assieme alla chemioradioterapia preoperatoria ha permesso un notevole incremento nel controllo locale della malattia, riducendo il tasso di recidiva locale a meno del 10%, aumentando la possibilità di salvataggio dello sfintere e incrementando i tassi di guarigione al 70%.
Il secondo è stato l’introduzione della chirurgia laparoscopica, che ha consentito un miglioramento del recupero dalla chirurgia (ridotta perdita ematica, minor incidenza di complicanze precoci, minor tasso di dolore postoperatorio e durata inferiore del ricovero) ed è stata supportata da diversi trial che hanno suggerito la non-inferiorità sugli outcomes di sopravvivenza (Vennix S, et al. Cochrane Database Syst Rev 2014)
Gli ultimi due, tuttora in evoluzione, sono la stratificazione biologica del rischio applicabile nei tumori localizzati (Avallone A, et al. Int J Biochem Cell Biol 2015, in press) e la chirurgia robotica (sono in corso gli studi randomizzati ROLARR e ACOSOG-Z6051).
Riguardo alla chirurgia laparoscopica, lo studio COLOR II ora presentato in forma estesa sul N Engl J Med a completamento della prima pubblicazione (van ser Pas MH, et al. Lancet Oncol 2013) colma la mancanza di una definitiva evidenza scientifica di equiefficacia nei confronti della chirurgia open classica.
Lo studio randomizzato di fase 3 ha confrontato le due tecniche chirurgiche arruolando oltre 1000 pazienti con adenocarcinoma rettale situato entro 15 cm dal margine anale ed escludendo neoplasie T4 o T3 con meno di 2 mm dalla fascia endopelvica. Era prevista una randomizzazione 2:1. Endpoint primario era il tasso di recidiva locoregionale a 3 anni (la chirurgia laparoscopica sarebbe stata considerata non-inferiore se i limiti di confidenza al 95% dell’intervallo avessero escluso una differenza superiore al 5% tra le due tecniche chirurgiche; in studi precedenti con sample size minore questa differenza era stata considerata accettabile se non superiore al 15%); tra gli endpoint secondari la DFS e la sopravvivenza overall.
Tra i 2004 e il 2010 sono stati randomizzati 1103 pazienti nei 30 centri aderenti alla sperimentazione; 1036 pazienti sono stati inclusi nella analisi finale, i pazienti erano ben bilanciati nelle caratteristiche demografiche e anatomo-cliniche basali.
Dopo il follow-up previsto, le due tecniche hanno prodotto un tasso di recidiva locoregionale a 3 anni del 5% (differenza nulla, 90%CI -2.6 +2.6); DFS rate 74.8% vs 70.8% (differenza 4% a favore della chirurgia laparoscopica, 95%CI -1.9 +9.9); OS rate 86.7% vs 83.6% (differenza 3.1% a favore della chirurgia laparoscopica, 95%CI -1.6 +7.8).
Lo studio dimostra la non-inferiorità della tecnica laparoscopica vs la chirurgia open nei pazienti con tumore rettale localizzato e supporta la prosecuzione del suo utilizzo nella pratica clinica. Gli studi randomizzati ongoing chiariranno se la chirurgia robotica con il Da Vinci possa portare successivi vantaggi.