Il trial IMbrave 151 randomizza pazienti con colangiocarcinoma localmente avanzato non resecabile o metastatico a ricevere chemioterapia standard (cisplatino e gemcitabina), atezolizumab +/- bevacizumab. Pubblicati i risultati finali di efficacia.
Macarulla T, Ren Z, Chon HJ, Park JO, Kim JW, Pressiani T, Li D, Zhukova L, Zhu AX, Chen MH, Hack SP, Wu S, Liu B, Guan X, Lu S, Wang Y, El-Khoueiry AB. Atezolizumab Plus Chemotherapy With or Without Bevacizumab in Advanced Biliary Tract Cancer: Clinical and Biomarker Data From the Randomized Phase II IMbrave151 Trial. J Clin Oncol 2024, Oct 18
Il trattamento del colangiocarcinoma avanzato ha avuto due importanti evoluzioni negli ultimi anni. Pur restando fondamentale l'uso in prima linea della chemioterapia, da un lato l'utilizzo dell'immunoterapia ha permesso di migliorare il taasso di risposte e i parametri di efficacia, come dimostrato dai trial randomizzati TOPAZ-1 e KEYNOTE-966; dall'altro c'è stata l'introduzione dell'oncologia di precisione che deriva dallo studio molecolare della malattia, di particolare rilievo per i colangiocarcinomi intraepatici.
Sebbene sia stato studiato anche il possibile beneficio della strategia antiangiogenica in combinazione alla chemioterapia, esso non è mai raggiunto una sufficiente evidenza clinica.
Il trial internazionale di fase IIR IMbrave151 testa la combinazione a 4 farmaci: i pazienti con malattia localmente avanzata e inoperabile ovvero quelli con esordio di patologia in stadio IV sono stati randomizzati a ricevere chemioterapia standard e atezolizumab (1200 mg q21) con o senza bevacizumab ev alla dose di 15 mg/Kg ogni tre settimane, sfruttando l'ovreespressione dei marcatori di angiogenesi in oltre il 50% dei tumori delle vie biliari e studiando la possibile sinergia tra bevacizumab e il PD-L1 inibitore. La chemioterapia era somministrata per un massimo di 8 cicli.
Endpoint primario dello studio proof-of-concept era la PFS, valutatat con esami striumentali ogni 9 settimane (3 cicli di trattamento), ma senza formale ipotesi statistica né revisione centralizzata dell'imaging.
Sono stati randomizzati 162 pazienti che nella maggior parte dei casi (55%) avevano malattia ad origine intraepatica ed esordio con metastasi a distanza (83% dei casi).
L'espressione di PD-L1 è stata valutata con TAP score; il 40% circa dei pazienti aveva uno score >1%. Interessante anche segnalare che l'analisi trascrittomica è stata eseguita al basale su 95 pazienti - confermando che la signature angiuogenica era più frequente nei pazienti con colangiocarcinoma intraepatico o della colecisti vs quelli con colangiocarcinoma extraepatico -, mentre in 102 casi è stata eseguito un gene profiling, con risultati concordi con quanto noto in letteratura.
La mPFS è risultata di poco incrementata nel braccio con bevacizumab, atezoilizumab e chemioterapia rispetto a quello con solo chemioterapia e atezolizumab (mPFS 8.3 mesi e 7.9 mesi (stratified HR 0.67 95%CI 0.46-0.95), mentre non c'è stato alcun impatto favorevole in sopravvivenza overall (median OS 14.9 e 14.6 mesi nei due bracci dello studio, stratified HR 0.97, 95% CI 0.64-1.47).
Una elevata espressione genica di VEGF era associata ad un vantaggio in PFS a favore del braccio di terapia con bevaciziumab (HR 0.44, 95%CI 0.23-0.83).
Inoltre, il tasso di risposta riportato dagli investigatori era sostanzialmente identico nei due bracci di terapia (26.5%), sebbene la durata mediana della risposta fosse numericamente maggiore nel braccio con bevacizumab (10.3 mesi vs 6.2 mesi).
L'incidenza di effetti collaterali di grado 3/4 è stato del 70% in entrambi i bracci dello studio.
Lo studio IMbrave151 ha testato la possibilità di combinare chemioterapia con immuoterapia e antiangiogenico nel trattamento upfront di pazienti con colangiocarcinoma avanzato non selezionati per specifico target.
I risultati del trial sono nel complesso deludenti (nessun vantaggio in risposta, modesto aumento della PFS mediana, nessun vantaggio in OS), dimostrano che la strategia antiangiogenica in questa popolazione abbia un effetto contenuto, confermano la combinazione di chemioterapia e immunoterapia come standard di trattamento e sottolineano la necessità di ulteriori sforzi per migliorare la prognosi di questi pazienti.
Spunto di interesse il possibile maggior beneficio del trattamento con immunoterapia e bevacizumab nei pazienti con elevata espressione genica di VEGF-A.