Pubblicati i dati del trial randomizzato ClarIDHy, che testa un inibitore orale di IDH in pazienti con colangiocarcinoma chemiorefrattario. Risultati promettenti, ma in misura assoluta modesti.
Abou-Alfa G, et al. Ivosidenib in IDH1-mutant, Chemotherapy-Refractory Cholangiocarcinoma (ClarIDHy): A Multicentre, Randomised, Double-Blind, Placebo-Controlled, Phase 3 Study: Lancet Oncol 2020, epub ahead of print
La conoscenza della biologia molecolare e, di riflesso, il panorama terapeutico dei pazienti con colangiocarcinoma intraepatico sta cambiando rapidamente, anche grazie ai risultati dei trial che hanno testato due nuove classi di molecola. La prima, oggetto di un recente tweet (vedi FGFR2: un nuovo target per il colangiocarcinoma pubblicato a marzo 2020), è quella degli inibitori di FGF Receptor. La seconda, esaminata nel trial ClarIDHy recentemente pubblicato, include gli inibitori delle mutazioni di isocitrato deidrogenasi (IDH) 1 e 2.
IDH è un enzima che catalizza la conversione dell'isocitrato ad alfa-chetogluconato. Le sue alterazioni strutturali, attraverso l'accumulo di oncometaboliti, inducono svariate modifiche epigenetiche che hanno un effetto pleiotropico sulla crescita cellulare, sulla differenziazione della stem cell epatica e sui segnali di ipossia. Oggi sappiamo che il 15% dei colangiocarcinomi presentano una mutazione di IDH 1 o 2, percentuale di poco superiore a quella delle alterazioni mlecolari di FGFR3 (10% circa).
Ivosidenib (AG-120) è un potente inibitore orale delle forme mutate di IDH già in uso in campo ematologico.
Con questo background gli investigatori hanno disegnato un trial randomizzato di fase 3, consotto in 6 paesi (inclusa l'Italia), dove pazienti con colangiocarcinoma IDH1 mutato in progressione dopo una o due linee di chemioterapia sistemica erano assegnati 2:1 a ricevere il trattamento sperimentale (ivosidenib alla dose di 500 mg/die) ovvero il matching placebo. Endpoint primario della sperimentazione era la PFS valutata centralmente secondo criteri RECIST; era ammesso il crossover da placebo a ivosidenib alla progressione.
In due anni sono stati randomizzati poco meno di 200 pazienti (124 al trattamento sperimentale, 61 al placebo), con età mediana di 62 anni. La metà dei pazienti era in progressione dopo 2 linee di terapia (e avevano già ricevuto platino, gemcitabina e 5-Fluorouracile); il 60% di essi aveva ECOG PS 1.
Tra le mutazioni di IDH1 la più frequente era la R132C, che contava per il 70% dei casi.
Dopo un follow-up mediano di circa 7 mesi, la PFS mediana è stata di 2.7 mesi per il braccio sperimentale vs 1.4 mesi in quello di placebo (HR 0.37, 95%CI 0.25-0.54, p<0.001). La forma delle curve di PFS, che si iniziano a separare a due mesi (quindi dopo la prima rivalutazione radiologica), fa vedere che il 40% dei pazienti non si beneficia del farmaco. Come atteso dal crossover non vi erano significative differenze in OS mediana.
Il profilo di tolleranza del farmaco è stato buono, con un numero di eventi avversi seri riposrtati nel 30% dei pazienti (vs 22% in quelli assegnati al placebo).
Trial con un risultato convincente?
Sebbene lo studio sia statisticamente positivo, l'HR per PFS sia 0.37 (molto buono!) e sia mantenuto un beneficio nel tasso di non progressione a 6 e 12 mesi, il vantaggio in PFS mediana è davvero modesto (5 settimane) e il disegno di crossover (effettuato in 35 dei pazienti assegnati al placebo) unito alla immaturità della analisi primaria (42% di eventi) impedisce di valutare l'effetto del farmaco sulla sopravvivenza overall, come ci si aspetterebbe da una nuova terapia in una linea molto avanzata.
La giuria quindi rimane in attesa. La conoscenza della biologia e la selezione molecolare sono certamente ottimi drivers per la validazione prospettica, ma saranno necessari altri e più robusti dati per definire la reale potenzialità di questo trattamento nel colangiocarcinoma. E' in corso lo studio con enasidenib, inibitore di IDH2 mutato.