I prepotenti risultati del trial IMbrave150 rivoluzionano il paradigma della sequenza terapeutica nell'HCC: la combinazione di atezolizumab e bevacizumab si dimostra più efficace (di molto) dell'attuale standard.
Finn RS, et al. Atezolizumab plus Bevacizumab in Unresectable Hepatocellular Carcinoma. N Engl J Med 2020 May 14;382(20):1894-1905.
Nel 2008 cambia radicalmente la terapia medica dell'epatocarcinoma avanzato: tramonta l'era della chemioterapia (peraltro ben poco efficace), si conclude il pessimismo del solo supporto talvolta corredato dall'aggiunta del tamoxifene ed emerge la possibilità di utilizzare un multitarget orale. Pur senza dare risposte obiettive, sorafenib somministrato per os alla dose di 400 mg bid stacca in efficacia il placebo dimostrando nei trial randomizzati un netto vantaggio in sopravvivenza libera da progressione, qualità di vita e sopravvivenza overall.
Negli anni a seguire ci si è provato con varie molecole, ma in verità nessun agente singolo o combinazione è risucita a superare in efficacia l'uso upfront del sorafenib. Dopo 12 anni, però, cambia di nuovo tutto con la pubblicazione in extenso dello studio IMbrave150.
Partendo dall'evidenza della sinergia del combinare un antiangiogenico a un immunoterapico risultante dalla possibilità dell'immunomodulazione del microambiente tumorale, gli autori hanno pensato alla combinazione di due farmaci della stessa Azienda (Roche) che singolarmente avevano dimostrato una modesta attività nella patologia. Lo studio di fase 3 randomizzato (2:1) si proponeva infatti di confrontare l'efficacia della combinazione vs il sorafenib, in una popolazione di pazienti con HCC confermato all'esame patologico, candidati a sola terapia medica, con malattia misurabile secondo RECIST 1.1, PS ECOG 0-1 e classe A di Child-Pugh. La randomizzazione avveniva con IVRS e fattori di stratificazione erano la provenienza geografica (Asia escluso Giappone vs ROW), invasione macrovascolare o malattia estraepatica (si vs no), livello basale di AFP (maggiore o minore a 400) e PS (o vs 1). I due co-primary endpoint dello studio erano la PFS (confermata con revisione indipendente) e OS.
In meno di 9 mesi sono stati randomizzati nella popolazione ITT 336 pazienti nel braccio sperimentale e 165 pazienti in quello standard, con una età mediana di 64 anni e il 60% dei apzienti con cirrosi ad eziologia virale.
Il vantaggio in sopravvivenza overall per la combinazione di atezolizumab e bevacizumab si è chiaramente dimostrato già alla prima analisi ad interim (HR 0.58; 95%CI 0.42-0.79, p<0.001), con una probabilità di sopravvivenza a 1 anno del 67% vs 54.5%.
Come termine di paragone, è da ricordare che la OS mediana nel braccio sperimentale dello studio SHARP era di 10.7 mesi, mentre ora il braccio con sorafenib ha certamente meglio performato (circa 13 mesi), grazie al miglioramento nelle terapie di supporto e all'impatto delle linee successive.
La sopravvivenza mediana libera da progressione è stata di circa 7 mesi nel braccio sperimentale vs 4.3 mesi in quello con sorafenib (HR 0.59, 95%CI 0.47-0.76, p<0.001), con un importante vantaggio anche in termini di risposte obiettive (27% con 5% di risposte complete vs 12% secondo criteri RECIST 1.1), superiorità confermata anche con i criteri modificati e HCC specifici.
Va segnalato in termini di tossicità un 15% di ipertensione grado 3-4 per la nuova combinazione, sebbene altri effetti collaterali gravi fossero infrequenti. la maggiore incidenza di effetti collaterali di grado inferiore nel braccio sperimentale, rifletteva anche la più lunga durata della terapia. Si sottolinea anche il 25% di sanguinamenti (di ogni grado) nel braccio sperimentale vs il 17% in quelli che hanno ricevuto terapia standard.
La combinazione di atezolizumab e bevacizumab stabilisce un nuovo landmark nel trattamento del carcinoma epatocellulare, come titola l'editoriale di accompagnamento a firma di Robin Kelley.
Tuttavia, la brevità del follow-up e il riscontro di specifiche tossicità nonostante la selezione dei pazienti (ECOG 0-1, classe A di Child) meritano una riflessione e un'attenza sorveglianza dei pazienti con varici esofago-gastriche.
Nel frattempo, si attendono i dati dei trial clinici ongoing o già chiusi nell'arruolamento che hanno testato altre combinazioni di immunoterapici con antiangiogenici o CTLA-4 inibitori. Il panorama terapeutico per il paziente con HCC, quindi, si prospetta decisamente interessante, anche in vista della scelta della miglior sequenza di trattamento considerata l'efficacia delle linee successive disponibili.