Lo studio ha dimostrato l'attività dei pemigatinib - un potente inibitore orale di FGFR - per il controllo della malattia di pazienti con colangiocarcinoma testato per il riarrangiamento o la fusione di FGFR2.
Abou-Alfa GK, et al. Pemigatinib for previously treated, locally advanced or metastatic cholangiocarcinoma: a multicentre, open-label, phase 2 study. Lancet Oncol 2020, epub ahead of print
Sebbene il colangiocarcinoma sia stato oggetto di numerose indagini molecolari e fini caratterizzazione di espressione genica e/o proteica con lo scopo di individuare potenziali target terapeutici (Lowery MA, et al. Comprehensive molecular profiling of intrahepatic and extrahepatic cholangiocarcinomas: potential targets for intervention. Clin Cancer Res 2018), negli ultimi 10 anni non ci si è schiodati dalla chemioterapia tradizionale - composta da una combinazione di cisplatino e gemcitabina in prima linea e da una possibile linea successiva, sempre fondata su antiblastici non cross-resistenti (fluoropirimidine, irinotecan, taxani...)
Si è rivelatio tuttavia interessante l'espressione di FGRF, un recettore che risulta amplificato, riarangiato o alterato per fusione in circa il 15% dei pazienti con colangiocarcinoma intraepatico. Lo studio (trial FIGHT-202), tra i molti inibitori di FGFR si è concentrato sul pemigatinib, un potente inibitore orale di FGFR 1-3, somminisrato alla dose di 13.5 mg/die in una schedula 2 weeks on/1 week off.
Lo studio era disegnato come un fase II open-label a singolo braccio per pazienti petrattati con almeno una linea di chemioterapia, ECOG PS 0-2, aspettativa di vita di almeno 12 settimane, adeguata funzionalità midollare, epatica e renale, fosforemia nella norma (il pemigatinib può produrre iperfosfatemia) e assenza di alterazioni corneali o retiniche documentate con valutazione oculistica e OTC (anche in questo caso effetti collaterali on-target possibili con il farmaco sperimentale relati all'inibizione di FGFR). Non era obbligatoria la alterazione molecolare di FGF/FGFR per l'ingresso nello studio, ma questa verifica era comunque prevista con una analisi di Foundation One.
Endpoint primario dello studio era la proporzione di pazienti con fusioni/riarrangiamento di FGFR nei quali era documentata una risposta oggettiva secondo RECIST alla valutazione indipendente centralizzata, sebbene il campionamento dello studio sia stato modificato in corso d'opera. Lo studio non prevedeva comparazioni tra le coorti.
Nello studio sono stati arruolati 146 pazienti: 61 provenineti da una larga coorte di screening di 1206 casi; 85 già noti essere positivi per lìalterazione molecolare da un precedente report.
Dei 146 pazienti trattati con pemigatinib: 107 - con riarrangiamento o fusione di FGFR2 - sono stati analizzati per saftey ed efficacia; 20 - con differenti alterazioni molecolari di FGFR2 - sono stati analizzati per saftey ed efficacia; 18 senza alterazioni molecolari di FGF/FGFR sono stati analizzati per safety ed efficacia; 1 con una alterazione non determinata è stato analizzato solo per la safety.
La maggior parte dei pazienti inclusi aveva un colangiocarcinoma intraepatico (90% dei casi), età inferiore ai 65 anni (70% circa) e solo 8% dei pazienti ne aveva oltre 75. Il sesso femminile era maggiormente rappresentato (60% dei casi) e quasi tutti avevano ECOG PS 0-1 con nella grande maggioranza una precedente linea di terapia sistemica ricevuta (60%).
In presenza di riarrangiamento o fusione nella neoplasia intraepatica, si è riportata RC nel 3% dei casi, RP nel 33% e SD nel 47% dei pazienti trattati, con una durata mediana della risposta di 7,5 mesi e un terzo dei pazienti ancora in risposta dopo 12 mesi.
Anche i dati di outcome (inclusi tra gli endpoint secondari) erano molto interessanti: PFS mediana di 7 mesi con il 30% di progression free a 1 anno; OS mediana di 21 mesi, con chance di sopravvivenza a 1 anno del 70%.
Per quanto riguarda il profilo di safety, il trattamento è stato discretamente tollerato: ipofosfatemia (12%), artralgia (6%), stomatite, iponatremia, fatigue e dolori addominali (5% ciascuno) sono stati tra gli effetti collaterali severi più frequentemente riportati.
Un importante passo avanti per la terapia del colangiocarcinoma intraepatico, che vede nel pemigatinib il primo farmaco a target molecolare con una discreta attività.
I dati presentati nell'articolo sono convincenti: il farmaco (o meglio, la classe di farmaci) è promettente e apre uno spiraglio di terapia target in una patologia molto difficile; sono in corso gli studi randomizzati di fase III che verificheranno l'efficacia di pemigatinib o infigratinib in pazienti pretrattati o in associazione alla chemioterapia standard in prima linea (studi FIGHT 302 e PROOF).
Nel frattempo, si ragiona sulla possibilità di aumentare l'attività del farmaco anche con combinazioni ad altre molecole, nota l'eterogeneità tumorale di questa neoplasia e la possibilità di mutazioni di resistenza secondaria - sebbene la PFS mediana di quasi 8 mesi ne suggerisca una genesi non rapidissima.