Come sapere chi beneficierà maggiormente da una terapia di seconda linea per carcinoma gastrico? Tenete a mente quattro facili parametri clinico-laboratoristici, è il suggerimento di una ricerca italiana real-world, condotta in 19 centri di riferimento e recentemente pubblicata.
Fanotto V, et al. Prognostic factors in 868 advanced gastric cancer patients treated with second-line chemotherapy in the real world. Gastric Cancer 2016, epub ahead of print Dec 27th.
Gli snodi da affrontare nel percorso terapeutico di un paziente con carcinoma gastrico - circa 13.000 nuovi casi per anno in Italia - sono molteplici. Tra questi, la definizione dell'estensione della malattia, la scelta della prima linea, il supporto nutrizionale e psicologico, ma ora anche l'opzione delle linee successive.
Negli ultimi anni, vari studi prospettici randomizzati hanno dimostrato che un trattamento di linea successiva impatta favorevolmente sulla sopravvivenza del paziente. Questo vantagio è possibile sia utilizzando la sola chemioterapia (irinotecan o taxano), che un trattamento antiangiogenico (ramucirumab, studio REGARD), che una combinazione dei due (paclitaxel e ramucirumab, studio RAINBOW).
Tuttavia, al momento della seconda linea, il paziente è talvolta in condizioni non ottimali, poco motivato a ricevere ulteriori terapie con potenziali tossicità e non è ben definito quali siano i migliori candidati a un successivo trattamento sistemico.
Lo studio real world coordinato dal gruppo gastrointestinale di Udine, che ha coinvolto 19 oncologie sparse sull'intero territorio nazionale (dalla Lombardia alla Sicilia), si è proposto di valutare quali parametri potessero aiutare il clinico nell'identificare i pazienti con un maggiore vantaggio dalla terapia di seconda linea, utilizando dati di una amia casistica retrospettiva e analisi di regressione di Cox.
Partendo da una casistica complessiva di circa 2.000 pazienti, sono stati raccolti dati clinici, radiologici e laboratoristici di 868 pazienti trattati con almeno due linee terapeutiche.
In seconda linea, i pazienti che ricevevano un agente singolo erano quasi la metà (47.5%), circa il 40% riceveveano una doppietta e una piccola percentuale (circa il 7%) un trattamento a tre farmaci.
Nel complesso, la PFS mediana in seconda linea era di 2.8 mesi e la OS mediana di 5.6 mesi.
Le analisi multivariate hanno dimostrato che quattro parametri predicevano in modo indipendente un migliore outcome dalla terapia di linea successiva:
1. PS secondo ECOG favorevole (0 vs 2-3, HR 0.33 per PFS, HR 0.28 per OS; 1 vs 2-3 HR 0.57 per PFS e 0.53 per OS)
2. LDH basso (valore <480 vs > 480 HR 0.64 per PFS e HR 0.70 per OS)
3. Rapporto neutrofili su linfociti basso (<2.7 vs >2.7 HR 0.75 per PFS e HR 0.66 per OS)
4. Migliore risultato della terapia di prima linea (PFS in prim linea >6.8 mesi vs <6.8 mesi HR 0.79 per PFS e 0.72 in OS).
Da notere che tutti i risultati presentati raggiungevano la significatività statistica. L'età e l'intensità del trattamento antiblastico di seconda linea, invece, non sembravano impattare sul beneficio in analisi multivariata.
Utilizzando una combinazione dei parametri si è potuto stabilire un indice prognostico che ha separato i pazienti con buona prognosi (OS mediana 8 mesi circa) da quelli con prognosi intermedia (OS mediana di circa 4 mesi) da quelli con prognosi sfavorevole (OS mediana circa 2 mesi).
Una ricerca collaborativa tra giovani amici ha prodotto risultati che, seppur derivati da una casistica retrospettiva, apre la strada alla definizione di una miglior selezione di pazienti candidati al trattamento di linea successiva.
Quattro semplici variabili possono costituire uno strumento che aiuta il clinico nella scelta in ambulatorio.
Rimane da formalizzare (e validare) un vero nomogramma prognostico, che includa anche pazienti trattati con antiangiogenico, da poter applicare nella pratica clinica. A breve, inoltre, avremo anche informazioni su quanti e quali siano i pazienti trattati in terza linea in Italia e se il beneficio in sopravvivenza è confermato anche per la popolazione anziana. Molto lavoro da fare, quindi, per la giovane dr.ssa Fanotto.